RA REGOLES DE CORTINA D’AMPEZZO

da | 5 Ago 2013

Tempo di lettura: 8 minuti

ciasa_regoleNel salotto di Corso Italia a Cortina d’Ampezzo fa bella mostra di sé un antico palazzotto con la scritta Ciasa de ra Regoles. Per quanti non conoscono le Regole, si può dire citando il dott. Majoni attento osservatore delle tradizioni e delle cose locali: La Regola è un consorzio pastorizio, istituzione antichissima, che univa i membri di una o più vicine allo scopo di sfruttare i pascoli in modo razionale. Al principio ne esistevano due: quella di Lareto sulla sponda sinistra del Boite e quella di Ambrizzola sulla destra, hanno statuti propri chiamati Laudi, perché i singoli capitoli cominciano con “Item laudamus” (approviamo). Attorno al 1400 le Regole anzidette ne figliarono parecchie minori, le regole basse che assieme alle prime dette alte o grandi esistono tuttora….

Più semplicemente si può dire che i beni comuni e privati sono costituiti dai pascoli e i boschi d’Ampezzo, e i proprietari sono i Regolieri, in altre parole gli ampezzani residenti capi famiglia. Il regolamento di condominio che disciplina l’uso dei beni comuni, sono i Laudi. Le prime Regole furono tre: Lareto, Ambrizzola e Falzarego, le ultime due successivamente si fusero. Furono dette Regole Alte in contrapposizione delle Regole Basse: Cadin, Chiave, Lareto bassa, Rumerlo, Pocol, Mandres, Campo, Zuel, Frajna, fondate in epoche successive. Il primo Laudo d’Ampezzo è quello scritto nel 1331 dalle Regole di Ambrizzola e Falzarego, segue nel 1363 il primo Laudo di Lareto e poi tutti gli altri. La fondazione di Laudo come fenomeno Laudo, in altre parole della scrittura di legge, nasce molto posteriormente, quando già da molto tempo le leggi delle Regole erano osservate per tacita consuetudine.

Regolieri: sono i capi delle famiglie ampezzani originarie aventi diritto di voto nelle assemblee regoliere. Essi sono i portatori degli interessi e delle istanze della famiglia ampezzana, organizzata su strutture patriarcali e costituente la cellula fondamentale delle regole.

Marigo: dal latino maior, maioricus, è il capo della regola eletto originariamente per un anno dai Regolieri, che gli affidano i pieni poteri nell’ambito della consociazione. Laudatori: generalmente nel numero di quattro sono i consiglieri e gli assistenti del Marigo.

Saltari: dal latino saltus, vale a dire bosco, termine in lingua ampezzana-ladina.

Soutèi, sono le mandrie campestri, la cui principale mansione è vigilare che nessun animale estraneo sconfini e danneggi i pascoli dei consorti. Nel corso dell’assemblea il voto che conta è solo quello del regoliere capo famiglia. I figli maschi del Regoliere sono senza diritti di voto, se sono de sote famea, in altre parole sotto la protezione della famiglia. Il figlio maschio rimane de sote famea fino al momento che sposandosi costituisce nucleo famigliare, quindi diventa Marigo.

In taluni casi di decisioni d’importanza vitale l’assemblea delle Regole, si potevano svolgere sote pena del Laudo, vale a dire il Regoliere che non partecipava poteva perdere i suoi diritti propri di Regoliere.

Queste assemblee, rare, erano indette con questa formula affinché nessuno si sottraesse alla vita sociale e all’impegno civico della comunità e per dar maggior peso alle decisioni. Nelle assemblee in cui erano trattati argomenti importanti le riunioni si potevano svolgere per due o per tre, in altre parole il Regoliere con diritto di voto poteva portare con sé, ed erano bene accetti, due o tre persone di fiducia che lo aiutassero nella scelta e della decisione di voto, insomma si portava i suoi consiglieri privati per avvalersi dei loro importanti pareri. In questo caso l’assemblea era ampliata ad una platea numerosa, due o tre volte, il numero dei Regolieri aventi diritto di voto.

E’ logico chiedersi all’inizio del Terzo millennio, perché e come le popolazioni in quei lontani tempi si siano fermate per abitare in Cadore e in Ampezzo, territorio certamente assai bello, ma non adatto alla sopravvivenza e all’agricoltura. Sul tema sempre aperto e sempre attuale se ne discute ancor oggi. Una delle correnti storiche più accreditate si parla di arimannie, in pratica colonie militari di liberi guerrieri longobardi (arimanni), che il duca longobardo inviava dalla capitale di Cividale del Friuli a presiedere luoghi di interesse militare, concedendo loro terre da coltivare, pascoli per nutrire armenti, greggi e cavalli, boschi cui attingere legna.

Questi beni assegnati ad ogni capofamiglia erano ereditari e inalienabili. Era un sistema ampiamente usato dal senato di Roma con i propri legionari, a cui erano assegnati territori più o meno vasti con il fine d’essere abitati e coltivati, costituendo contemporaneamente il naturale rinforzo ai non sempre sicuri confini dell’impero. I Longobardi lo apprezzarono, lo imitarono inviando nel VII e nell’XIII secolo numerose arimannie nei territori delle Alpi, fino a raggiungere la valle d’Aosta. Nascevano così nella vallate alpine nuove comunità, dove le sagge, ma oramai stanche istituzioni romane, rivivevano adattandosi ai costumi del popolo longobardo, rozzo ma giovane e attivo. Nascevano quelle comunioni famigliari ereditarie, dette a seconda della zona Regole, Consortie, Cosorterie.

Società di antichi originari, diffusesi su tutto il territorio dell’arco alpino, non solo italiano, ma anche austriaco, germanico, svizzero e francese, portando con sé quelle peculiari caratteristiche che solo in Ampezzo e solo poche altre comunità seppero tramandare di generazione in generazione, quasi intatte da quel lontano tempo, sino ai giorni nostri. Queste istituzioni chiamate in Cadore e in Ampezzo, Regole, furono e sono, caratteristiche e di alto contenuto sociale probabilmente imposte nella rigidità dei regolamenti, più dalla durezza e dall’asperità del territorio che dettate da un superiore senso comunitario. A contatto con l’asperità dei luoghi e del clima, un’etimologia vuole far risalire il toponimo Ampezzo al significato luogo ampio e inospitale ricco di sterpaglie, l’uomo deve aver compreso che solo l’unione e lo sfruttamento parsimonioso degli scarsi beni offerti dalla natura a queste altezze latitudini, poteva dargli la forza di sopravvivere. Si unì, infatti, agli altri valligiani e formò un blocco di consistenza granitica tutt’ora viva e vitale. Dalle pergamene dei Laudi, balzano netti i tratti di una comunità equa e giusta, democratica, profondamente civile, che ha stupito chiunque vi si sia avvicinato. Sarebbe lungo delineare tutta la fisionomia rigorosa ed umana al tempo stesso, bastino alcuni tratti. Nei Laudi d’Ampezzo vi si trovano solo frates e consortes.

In un’epoca in cui la società europea aveva una struttura feudale e piramidale del potere, con pochi signori al vertice, e molti servi della gleba alla base, scoprire un mondo di uomini eguali pare un’utopia. Una stupenda utopia di una società che tra monti, pascoli e boschi, s’incarnava e palpitava tutte le volte che i Regolieri, da eguali fra eguali, si riunivano nella piazza (Padeon) del borgo sotto il Taè (tiglio?) per eleggere il Marigo, risolvere uniti i problemi della comunità, approvare i Laudi, questi piccoli codici rurali che le Regole custodiscono gelosamente nei propri archivi. I pascoli e i boschi appartenevano alla comunità, non si potevano né dividere né vendere. Il regoliere possedeva, e di questo suo possesso, si nutrivano i suoi famigliari, il suo bestiame, si scaldava a casa sua, ma, per possedere, doveva possedere assieme, da solo non avrebbe avuto nulla. Ma quello che è tra i fatti più espressivi delle Regole è che il godimento dei beni comuni non era, e non è tuttora, lasciato alla cupidigia al capriccio, ma trovava, e trova, unico insindacabile metro nei bisogni della famiglia, la cellula che domina tutto il tessuto del regoliere e delle Regole.

A chi necessita bisogni di poco, poco vien dato, a chi ha bisogno di molto, vien dato molto. Vi era chiaramente la proprietà privata che consisteva nella casa colonica, dell’orto, dei cambi per gli ortaggi e le granaglie, il bestiame. Ma in alcuni statuti dei laudi, quando si procedeva al disboscamento per conquistare terra coltivabile, la terra, cioè il “colonnello” era assegnata dalla comunità solamente a quelle famiglie che per numero di braccia n’avrebbero assicurato l’adeguato sfruttamento. Si è così configurato nel tempo il carattere del regoliere, aspro, a causa della lotta quotidiana contro la natura ostile, parco per la povertà dei beni, educato alla vita della comunità perché solo in essa era uomo, geloso del suo, cioè del proprio personale bene materiale, che era poco, ma era tutto ed andava difeso in qualunque modo e maniera. Come hanno rilevato insigni studiosi ed economisti questo tipo di società regoliera e famigliare sviluppatasi nelle Alpi, per molti versi è simile all’antica e originaria società delle popolazioni australiane e nord americane, studiate appunto perché efficaci nell’organizzazione sociale e capaci del superamento delle contraddizioni dell’economia capitalista. In questi tipi di società australe e nordamericana, si possiamo leggere similmente un profilo della società regoliera ampezzana, tratto dagli studi dei professori Ivanoe Bonomi e Ghino Valenti e del giurista professor Bolla, che si può sommariamente così concentrare “Le comunioni famigliari sono come struttura, organizzazione di contenuti civili, il denominatore della comunità. Insieme rappresentano non soltanto un tipo di società, ma un modo proprio di civiltà, ma un modo proprio di ordinamento civile in relazione alla popolazione che viene in un particolare ambiente. Le comunioni famigliari c’interessano non soltanto sotto il profilo storico per la conoscenza del diritto al fine di salvare e valorizzare istituzioni, che si dimostrano sempre più valide, ma anche perché illuminano il lungo cammino di libertà e della democrazia. Queste istituzioni insegnano che gli ordinamenti civili più validi non sono quelli che s’impongono secondo concetti fissi per ridurre ad una stessa norma istituzioni diverse, ma quelli che assumono la giusta dimensione dell’uomo e della sua civitas”.

Renato Zanolli

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