Una vita in memoria. La storia di emigrazione di Elza Martini

da | 26 Feb 2021 | 0 commenti

Tempo di lettura: 5 minuti

di Luz Marina Colombo Gewehr – Maceio, Alagoas (Brasile)

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Un sogno, un viaggio, una nuova vita. Così inizia la storia di emigrazione della famiglia Martini, proveniente dalla frazione di Fianema, nel comune di Cesiomaggiore. A raccontarla è Elsa Martini Colombo, mia nonna. 

Partita da Genova nell’aprile del 1910, la famiglia si stabilì a Santa Maria, Rio Grande do Sul, nel Comune di Restinga Seca. Giovanni Ricciotti Martini lavorava nella coltivazione di tabacco, Elvira e i figli (Emilio di 12 anni, Irma di 9, Elsa di 5 e Alice di 3 mesi, nata in Brasile) aiutavano nelle faccende domestiche, cercando di adattarsi alla nuova realtà.

All’inizio della Prima guerra mondiale, Giovanni decise di rimanere a lavorare in Brasile, mentre Elvira diceva di non voler morire lì. Così, nel 1914 ritornò in Italia in compagnia dei suoi quattro figli. «Eravamo già in guerra, il viaggio è durato più del previsto perché la nave doveva navigare lungo la costa per sfuggire ai sottomarini e ai bombardamenti», ricordava Elsa. 

Al suo ritorno in Italia, Elvira dovette affrontare con coraggio gli anni della guerra, proteggere i suoi figli e provvedere al loro sostentamento. Gli abitanti più facoltosi della zona andarono verso il Milanese, ma i piccoli contadini rimasero nei villaggi intorno al Monte Grappa, dove si svolse gran parte dei combattimenti e dove furono esposti a bombardamenti, saccheggi e conflitti. Furono anni difficili. Affermava Elsa: «Essendo un territorio di combattimento, durante l’occupazione austriaca tutto il grano e il vino delle botti furono buttati via. In campagna, le coltivazioni venivano confiscate, non rimaneva nulla. Dovevamo stare zitti, loro comandavano». 

Alla fine della guerra, Giovanni fece ritorno in Italia, riprese le sue attività di Consigliere Comunale per l’Agricoltura di Cesiomaggiore e si prese cura della famiglia, provvedendo all’educazione dei suoi figli affinché imparassero un mestiere. Elsa parlava di suo padre con ammirazione. «Era un uomo colto, sapeva leggere e scrivere bene, era di bella presenza». Elvira morì nel 1924 a causa di un infarto. Aveva 45 anni. Giovanni, che diceva sempre di voler tornare in Brasile, decise di inviare Emilio per raggiungere i suoi parenti che si trovavano nel municipio di Tangará, stato di Santa Catarina, dove acquistare un pezzo di terra e preparare tutto per il suo ritorno insieme alle tre figlie.

Partirono per il Brasile nell’aprile del 1925, arrivando nel Porto di Santos, nello stato di São Paulo. Il viaggio continuò poi in treno verso la destinazione finale, con una sosta a Ponta Grossa, nello stato del Paraná, dove Giovanni doveva prelevare dei soldi per cominciare una nuova vita. Raccontava Elsa: «Mio padre era un uomo di mondo, sapeva tutto, ma sulla via del ritorno alla stazione ferroviaria fu derubato. Gli portarono via tutti i soldi. Aveva paura, parlava di quello che aveva vissuto, ma non era sicuro di cosa fosse successo».

A Tangará, Emilio e la famiglia lo aspettavano. Nei giorni successivi, la notizia del furto provocò una svolta nei piani, nell’armonia e nella vita della famiglia Martini. Emilio partì per Rio Grande do Sul in cerca di lavoro. Giovanni, come raccontava Elsa: «Cominciò ad impazzire. Usciva la mattina presto, tornava tardi la sera. Quanti pianti alla ricerca del padre. Così andammo avanti per un anno, il tempo in cui rimanemmo nella fattoria, finché un giorno non lo vedemmo più».

Elsa e le sue sorelle parlavano solo italiano, non erano in grado di gestire la loro vita, erano ancora molto giovani. «All’inizio avevamo l’aiuto della famiglia, ma dovevamo trovare la nostra strada, e quindi andammo a vivere presso delle famiglie sconosciute per aiutare nelle faccende domestiche e avere un posto». Fu vivendo a Tangará con la famiglia Tomazzi, discendente di italiani, che Elsa conobbe André Colombo, suo marito, di mestiere calzolaio. Con lui visse sessantadue anni ed ebbe cinque figli. 

Dopo vent’anni, un giorno Elsa ricevette un messaggio: le si diceva che un uomo era arrivato nel negozio in città, chiedendo di lei. «Cominciai subito a tremare, ma dissi ad André: “Andiamo a vedere.” Quando arrivammo gridai: “Padre! Siete tornato!” Lui mi abbracciò, pianse a più non posso. Lo invitai a casa mia, ma lui mi rispose: “Non ci vengo, nessuno ha il diritto di comandare le mie figlie”. Dopo qualche giorno venne di nuovo a trovarci e rimase per un po’ di tempo a casa».

Giovanni era già vecchio, i capelli bianchi, aveva 77 anni. Parlava sempre di quello che era successo. Aveva un umore difficile, usciva senza dire dove andava e quando sarebbe tornato. Rimase con i figli per un po’, fino a quando non si seppe più niente di lui. A quel tempo i trasporti e le comunicazioni erano difficili. Emilio negli anni cercò le sue sorelle, e dopo trent’anni incontrò Elsa. Ricordava lei: «Quando sollevai gli occhi e vidi che era Emilio, quasi impazzii dall’emozione».

Dopo questo incontro, i fratelli cominciarono a frequentarsi più spesso. Per Elsa la famiglia era il bene più prezioso. Il marito, i figli, gli amici, lavorare a maglia per passare il tempo, non voleva nient’altro. Così Elsa continuò a vivere con semplicità e saggezza. «Ho affrontato la vita, ho imparato a vivere bene con quello che avevo. Ho trovato un modo per dimenticare, lasciarmi la tristezza alle spalle, guardare avanti pensando sempre al meglio». È deceduta a 96 anni, ancora lucida. 

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