Dietro a ogni storia ci sono tenacia e fede

da | 9 Lug 2020 | 0 commenti

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Arturo Isotton, sesto dei dieci figli di Giovanni Battista, originario di Tremea di Mel, e di Caterina Donada, di Forno di Canale, nacque a Wattwill, in Svizzera, il 21 settembre 1914. 

Ancor prima di nascere fu un emigrante. La mamma Caterina, infatti, era incinta di cinque mesi quando insieme al marito “Giobatta” decise di riprendere la strada per la Svizzera in cerca di lavoro. Era il tempo in cui ancora non si prevedeva la catastrofe che di lì a poco avrebbero scatenato in Europa “Guglielmone” e “Cecco Beppe”. La mobilitazione generale costrinse la famiglia Isotton al rientro in patria. Arturo frequentò le scuole a Villa di Villa fino alla quinta elementare.

Da ragazzo non era molto socievole, spesso amava starsene da solo e, nella buona stagione, andare a caccia di uccelli e conigli selvatici, utilizzando trappole da lui stesso ingegnosamente costruite. Nel bisogno era sempre attivo, pronto a rispondere ai comandi del padre, che esibiva verso i figli un’accentuata autorità, come del resto si usava un tempo. Questo suo carattere apparentemente solitario, tuttavia, non gli impediva di mostrarsi gentile e disponibile verso i genitori, i fratelli e gli altri abitanti della valle. Nelle sue frequenti scorribande in mezzo ai boschi, qualche volta portava con sé il fratellino Mario, alla ricerca di “favolosi” tesori nascosti negli anfratti rupestri delle montagne attorno al Castello di Zumelle.

Il trasferimento in Agro Pontino lo colse impreparato. Lui, cresciuto tra le valli e i boschi delle montagne bellunesi, non si abituò tanto facilmente al nuovo territorio, il cui paesaggio, ormai liberato completamente dalla vegetazione, gli appariva una landa desertica e spettrale, senza un albero per miglia e miglia. Sicuramente tra i fratelli fu quello che più di tutti patì il cambiamento e avvertì con delusione la promessa di una vita nuova.

La Seconda guerra mondiale lo costrinse ad imbracciare le armi e a partire per il Montenegro. Dopo l’8 settembre 1943 venne fatto prigioniero dalle truppe tedesche e deportato in Germania, presso un campo di lavoro. Liberato dalla prigionia nell’agosto del 1945 dalle forze Alleate, finalmente poté tornare a casa. Il rientro in Agro Pontino non fu per Arturo entusiasmante: troppa devastazione in giro e poche le possibilità di un futuro normale, così prese la decisione di espatriare, non prima, però, di aver contribuito a riscattare il podere 1846 finendo di pagare il debito con l’Opera Nazionale Combattenti. 

Pochi giorni prima del suo compleanno, nel settembre 1947 si imbarcò al porto di Napoli su un piroscafo diretto in Argentina, la prima potenza economica dell’America Latina. A bordo della nave, durante il viaggio verso Buenos Aires conobbe una ragazza friulana, Pia Rosati, nata nel 1923. La giovane viaggiava insieme alla mamma Rosina, alla sorella Agnese e al fratello Virginio, per ricongiungersi con il padre Francesco, già da tempo a Buenos Aires. Arturo e Pia simpatizzarono all’istante e in breve tempo tra loro – come d’incanto – nacque un amore tale che decisero di sposarsi.

Durante la traversata furono uniti in matrimonio dal Comandante del piroscafo. Nella capitale Argentina Arturo trovò lavoro come carpentiere edile, ma si adattò a svolgere qualsiasi lavoro manuale, con la sapienza acquisita nell’ambito delle tradizioni familiari. Nel frattempo crebbe anche la famiglia, nacquero infatti Virginio e Rosita. Il primogenito, Virginio, da giovane coltivò la passione per la Fisica e per due anni frequentò l’università di Buenos Aires. Poi abbandonò gli studi per seguire la vocazione religiosa. Desideroso di diventare prete, studiò in seminario e venne consacrato sacerdote, divenendo in seguito parroco della “Parroquia Santuario Nuestra Señora de la Esperanza”, a Virrey del Pino.

Al tempo della dittatura militare, non mancarono per lui momenti di enormi sacrifici, impegnato com’era a prestare aiuto a tanta povera gente. In quegli anni si ingegnò a fare di tutto pur di venire incontro a chi aveva bisogno. Aiutò persone distanti anche parecchi chilometri dalla parrocchia, viaggiando su strade sconnesse con una macchina scassata, che più di una volta lo lasciò a piedi. Attualmente è pastore spirituale di circa trentamila anime nella periferia della capitale. 

Rosita, invece, raggiunta la maggiore età decise di prendere marito e mettere su famiglia: si sposò con un giovanotto argentino proprietario di una macelleria, un “carnicero”, come dicono a Buenos Aires. 

Arturo fece ritorno in Italia per la prima volta nel 1975. Giunto a Latina, venne ospitato dal fratello Mario, che lo aiutò, con i fratelli Rodolfo e Giovanni, a risolvere la questione legata all’eredità del podere 1846. La somma in lire ricevuta dai fratelli, grazie al cambio assai favorevole con la valuta Argentina, gli consentì l’acquisto della casa, oltre che la risoluzione di alcune pendenze finanziarie.

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1997, all’età di ottantatré anni, Arturo venne sepolto in un cimitero a una quarantina di chilometri da Buenos Aires. La moglie Pia lo seguì in cielo l’anno successivo e così entrambi riposano adesso nella pace del Signore, uno vicino all’altro. Lo spirito di Arturo, unito a quello dei suoi genitori e dei fratelli, sorvola ora le alte cime delle montagne bellunesi, lassù dove venne scritto per la prima volta il loro nome.

Lucia Isotton, nipote di Arturo

Arturo e Pia nel giorno in cui venne registrato l’atto matrimoniale presso il municipio di Buenos Aires

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