Questa era la celebre frase usata dal conduttore radiofonico e televisivo Nunzio Filogamo per introdurre le sue trasmissioni negli anni Cinquanta.
Ho pensato spesso a questa frase nelle settimane di chiusura totale delle attività di insegnamento. Un po’ in tutti i Paesi i sistemi scolastici sono rimasti spiazzati e i docenti hanno dovuto organizzarsi in poco tempo con la didattica a distanza. Ecco le mie impressioni generali.
Il docente si trova da solo in un’aula virtuale e gli alunni diventano decine di icone proiettate su uno schermo, spesso con il microfono spento per non disturbare… o forse anche per non farsi sentire mentre fanno altro. Si tratta degli alunni “fantasma”, cioè quelli spariscono da ogni controllo. Il docente si deve semplicemente fidare della situazione che vede davanti al computer.
Esistono mezzi appositi che permettono la condivisione del materiale didattico su una lavagna virtuale. E in questo contesto il docente deve barcamenarsi per ore cercando di coinvolgere i suoi cari alunni (non sempre amici) vicini e lontani, ma in una classe virtuale l’interazione è molto più difficile. La percezione di un minuto di silenzio davanti a uno schermo, in attesa di una risposta, può essere molto difficile da sopportare.
La didattica a distanza non è sicuramente facile sia per i docenti, che devono preparare il proprio materiale in modo estremamente minuzioso, sia per gli alunni, che devono sforzarsi di rimanere sempre concentrati in un ambiente familiare, a casa, dove in genere fanno altro. Gli spazi del lavoro e quelli del tempo libero si fondono con risultati non sempre positivi. Ci sono naturalmente anche casi in cui la didattica a distanza ha funzionato bene risvegliando potenzialità sottovalutate in condizioni scolastiche normali. Gli insegnanti e gli alunni particolarmente “timidi”, per esempio, potrebbero aver approfittato di questa didattica “asociale”.
Per quanto riguarda in particolare la didattica delle lingue ho osservato docenti perfettamente organizzati con materiale di ogni tipo in cui vengono esercitati vari aspetti formali delle lingue. Per loro si tratta effettivamente di un’ottima opzione da utilizzare prevalentemente per la classica trasmissione del lessico e della grammatica senza molti spazi per i cosiddetti voli pindarici.
Più problematica è la situazione degli insegnanti “improvvisatori”, quelli che riescono a creare nuove lezioni seguendo spontaneamente gli stimoli che arrivano dagli alunni. Per loro la didattica a distanza può rappresentare effettivamente una specie di “carcere” in cui viene eliminata la capacità di rapportarsi con i propri alunni.
Lavorando nella formazione degli adulti mi sono accorto che il fattore empatico è stato quello che ha spinto quasi tutti i miei alunni a rifiutare l’offerta dei corsi di italiano che avrei dovuto tenere elettronicamente. Molti hanno preferito aspettare tempi migliori per frequentare di persona i corsi perché, per loro, più che il lessico e la grammatica, fondamentale rimane l’aspetto dell’interazione spontanea in classe. L’insegnamento di una lingua, quindi, ha un valore sociale che la didattica a distanza non può dare del tutto.
Qualcuno dice che in queste settimane si è sperimentato quello che sarà normale in futuro: la presenza fisica a Scuola, con tutti i limiti e le contraddizioni della socialità in classe, verrà sostituita da freddi dialoghi e monologhi fatti davanti a uno schermo. Per la verità si tratta una prospettiva che non mi entusiasma troppo.
Raffaele De Rosa
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