Più di venti anni fa fui coinvolto nel progetto Umanesimo latino di Dino De Poli, nota personalità veneta scomparsa l’estate scorsa. Mi ricordo che partecipai anche a un convegno a New York dove c’erano rappresentanti di origine italiana, residenti in tutti i continenti, che portavano le proprie esperienze a sostegno della cosiddetta “latinità italica”.
Alla fine di quelle tre giornate furono raccolte tantissime idee di ogni tipo, ma ritornai a casa con la netta sensazione di aver ascoltato grandi discorsi utopici senza troppa sostanza. Persi così il contatto con questo progetto che, nel frattempo, continuò la propria strada. Penso che sia stato creato un centro studi per convegni e corsi su questi temi umanistici.
Personalmente vivo ogni giorno esperienze che si rifanno in qualche modo al mondo linguistico e culturale latino.
Per esempio, gli studenti di lingua tedesca che frequentano i miei corsi hanno alle spalle anni di francese, una lingua detestata a queste latitudini. Alcuni hanno perfino conoscenze di spagnolo e portoghese. Che cosa faccio io di fronte a queste competenze? Cerco di attivarle.
“Come si dice lesen in francese?”, chiedo ad una classe di principianti.
“Lire”, mi risponde Ursula, ex-insegnante di scuola elementare.
“E in spagnolo?”.
“Leer?”, mi risponde Hans, un ingegnere in pensione che ha vissuto alcuni anni in Perù.
“Ma in latino si dice legere”, osserva Reto, il vecchio giurista che ha studiato la “lingua di Cicerone” ai tempi del liceo e si ricorda tutte le coniugazioni e le declinazioni.
“Bene, abbiamo francese lire, spagnolo leer e latino legere. Provate a italianizzare queste parole, senza usare il vocabolario”, il mio è un invito a riflettere sulle parole.
“Leggere con due g”, dice Claudia, la più giovane del gruppo che ha un nonno italiano.
“Lo sapete che avete appena fatto una piccola lezione di linguistica romanza comparata senza saperlo? E avete scoperto da soli la parola leggere”, dico con un sorriso e poi continuo la lezione con un collegamento etimologico, storico e culturale tra tedesco lesen e italiano leggere, includendo anche inglese to read e tedesco raten.
Tutti si guardano stupiti. Fino a quel momento il loro studio delle lingue era stato rigorosamente separato. Italiano, francese, spagnolo, latino, inglese e tedesco, nessuno dei loro insegnanti ha mai fatto un confronto organico tra queste lingue a livello lessicale e/o grammaticale. Peccato!
Un altro esempio di Umanesimo latino avviene quando parlo con persone di lingua spagnola, portoghese o francese. Ecco, con loro evito di parlare in tedesco o inglese. Cerco, invece, di usare il mio italiano adattato alle lingue dei miei interlocutori. Creo, insomma, una specie di lingua franca a base latina, molto simile agli idiomi a base ispano-veneziana usati nel Mediterraneo tra il XIV e XVIII secolo. Basta essere un po’ flessibili e ci capiamo senza problemi.
Effettivamente trovo un po’ strano il fatto che un francese, uno spagnolo e un italiano parlino inglese tra di loro, usando molti termini di origine franco-latina da secoli presenti nel mondo linguistico-culturale britannico ed esportati in tutto il mondo. Se non ci credete, fate un piccolo esperimento: prendete un piccolo testo in inglese e segnate tutte le parole che vi sembrano in qualche modo “italiane”, poi le “francesizzate” o “ispanizzate” e avrete una lingua a base latina utilizzabile per i vostri dialoghi senza scomodare troppo Shakespeare o Lady Gaga. Anche questo, per me, è Umanesimo latino.
Sono troppo utopista?
Raffaele De Rosa
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