297. Il Veneto, come sta? Ne parliamo con l’assessore alla sanità Manuela Lanzarin

da | 31 Dic 2019 | 0 commenti

Tempo di lettura: 7 minuti

Manuela LanzarinInvestimenti, carenza di personale medico, assistenza sanitaria agli iscritti Aire. Sono alcuni dei temi che abbiamo voluto approfondire con l’assessore competente.

La sanità veneta è un fiore all’occhiello a livello nazionale. Ci può portare alcuni esempi di questa eccellenza e l’investimento che ha messo in atto la Regione Veneto nel 2019?

Partiamo da un successo nazionale: la sanità veneta, qualche settimana fa, è stata giudicata la migliore d’Italia dal Ministero della Salute per la capacità di erogare totalmente i Livelli Essenziali di Assistenza (i LEA), che sono tutte quelle cure che ogni regione dovrebbe erogare ai propri assistiti come previsto dall’articolo 32 della Costituzione. Dico dovrebbe perché, e aggiungo purtroppo, in molte parti d’Italia non è così. È la promozione più ambita, perché un giudice terzo ci ha detto che i cittadini veneti ricevono tutte le cure a cui hanno diritto, e sono tra i pochi in Italia. Il Veneto è anche Regione benchmark nazionale per la capacità di coniugare la qualità dell’assistenza e la tenuta dei conti. Per l’ennesima volta, ad esempio,  il nostro bilancio sanitario 2018 si è chiuso in attivo, e così sarà anche nel 2019. Il tutto essendo l’unica Regione italiana a non aver imposto ai suoi cittadini nessuna addizionale Irpef, lasciando così nelle loro tasche un miliardo 270 milioni di euro l’anno. Per fortuna, esempi di eccellenza nella sanità veneta ce ne sono molti, e non si potrebbe certo citarli tutti. Segnalo l’organizzazione in Rete degli ospedali che garantisce a ogni malato di essere curato nella struttura più adatta alla sua patologia; il Sistema di emergenza-urgenza (SUEM 118), che compie più di mille interventi al giorno e che è considerato tra i più efficienti d’Europa, e per questo è studiato in diversi Paesi; il continuo adeguamento strutturale; un forte investimento in moderne tecnologie come Tac, Risonanze Magnetiche, Angiografi digitali (70 milioni l’anno, da anni).

Assistenza sanitaria e iscritti Aire? Istruzioni per l’uso. Quali sono i diritti a livello sanitario dei nostri emigranti?

Essendo un’informazione di servizio, propongo qui di seguito l’intero panorama dell’assistenza:

Cittadini italiani residenti in uno Stato appartenente all’Unione Europea, See (Islanda, Norvegia, Liechtenstein), Svizzera

Secondo quanto stabilito dai Regolamenti di sicurezza sociale CE n. 631/2004, 883/2004 e 987/2009, tali cittadini, quando rientrano temporaneamente sul territorio nazionale in qualità di turisti, possono ottenere le prestazioni sanitarie che si rendano necessarie sotto il profilo medico durante il periodo di dimora in Italia, esibendo la Tessera Europea Assicurazione Malattia rilasciata dall’Istituzione estera competente presso la quale risultano iscritti. Per beneficiare delle prestazioni sanitarie possono recarsi direttamente nei Presidi ospedalieri, pronto soccorso, servizio di medicina turistica, servizio di continuità assistenziale, medico di medicina generale, ecc… Si evidenzia che, qualora tali cittadini risultino privi di qualsiasi copertura sia pubblica che privata, sono tenuti al pagamento dell’intera tariffa delle prestazioni ottenute, previste dalla Regione.

Cittadini italiani residenti in uno Stato 

non appartenente all’Unione Europea

I cittadini italiani (nati in Italia) che trasferiscono (o hanno trasferito) la residenza in uno Stato con il quale non è in vigore alcuna convenzione con l’Italia perdono il diritto all’assistenza sanitaria a carico del S.S.N. sia in Italia che all’estero, all’atto della cancellazione dall’anagrafe comunale e dell’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), ad eccezione dei lavoratori di diritto italiano distaccati all’estero. Tuttavia, ai sensi della normativa nazionale vigente (D.M. 01.02.1996), ai cittadini residenti all’estero con lo stato di emigrato ed ai titolari di pensione corrisposta da enti previdenziali italiani, che rientrino temporaneamente in Italia, sono riconosciute, a titolo gratuito, le prestazioni ospedaliere urgenti per un periodo massimo di 90 giorni (anche frazionabili) per ogni anno solare, qualora privi di qualsiasi copertura assicurativa, pubblica o privata, per le suddette prestazioni sanitarie. Per prestazioni ospedaliere urgenti si intendono tutte le prestazioni erogate, tramite il pronto soccorso di una struttura ospedaliera, sia in via ambulatoriale che in sede di ricovero. Nel caso di superamento del periodo dei 90 giorni, le prestazioni vengono erogate agli interessati con il conseguente addebito delle tariffe. Con il termine dell’anno solare viene a cessare il periodo di copertura a carico del S.S.N., anche se non esaurito e l’eventuale prosieguo delle cure va computato nei 90 giorni dell’anno successivo. Per esercitare detto diritto, tali cittadini al momento dell’arrivo sul territorio nazionale devono recarsi presso la sede distrettuale dell’Azienda Ulss di temporanea dimora per dichiarare la propria presenza, il periodo di soggiorno sul territorio nonché esibendo l’attestato rilasciato dal Consolato competente che certifica lo stato di emigrato. In mancanza dell’attestato del Consolato, può essere sottoscritta una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in cui si dichiara, oltre allo stato di emigrato, anche l’assenza di una copertura assicurativa pubblica o privata contro le malattie.

I cittadini italiani residenti all’estero che non rientrino nella suddetta fattispecie, ovvero privi dello stato di emigrato, di pensione corrisposta da enti previdenziali italiani o di altra copertura assicurativa pubblica o privata, sono tenuti al pagamento dell’intera tariffa delle prestazioni ottenute, prevista dalla Regione.

Lavoratori di diritto italiano distaccati all’estero

I lavoratori di diritto italiano distaccati all’estero (ossia lavorano per una ditta italiana) che trasferiscono la residenza nell’altro Stato hanno diritto ad ottenere l’assistenza sanitaria in forma gratuita sia all’estero, qualora in possesso dell’attestato ex art. 15 del D.P.R. 618/1980, sia in occasione di rientro temporaneo sul territorio nazionale, comprovando lo svolgimento dell’attività di lavoro all’estero.

Carenza di medici e loro fuga. Ci sono delle azioni per far rientrare i medici veneti che sono andati all’estero in questi ultimi anni, coinvolgendo anche medici nostri discendenti? È possibile creare una sinergia tra Regione Veneto e Associazionismo in emigrazione proprio in questo settore professionale?

La questione è estremamente complessa e parte da lontano, con gravi errori di programmazione nazionale che hanno portato alla specializzazione molti meno medici di quelli laureati ogni anno. In Veneto stiamo cercando di fronteggiare l’emergenza con tre azioni: l’indizione continua di concorsi riservati agli specializzati di ogni disciplina (l’ultimo, per 356 posti, si terrà a dicembre);  l’inserimento negli ospedali di giovani laureati e abilitati, ma non specializzati, previa la necessaria formazione; e la collaborazione con le Università di Padova e Verona per l’inserimento dei loro specializzandi al quarto e quinto anno. A livello nazionale ci siamo fatti promotori di una proposta articolata in 16 punti, approvata all’unanimità dalle Regioni italiane e ora all’attenzione del Governo e al centro del confronto per il nuovo Patto Nazionale per la Salute. In questo quadro, un medico laureato in Italia e poi trasferitosi altrove non avrà alcun problema a rientrare. Lo stesso vale per chi si è laureato all’estero, che il sistema sanitario nazionale accoglierebbe a braccia aperte, a condizione che la laurea e la specializzazione ottenute nel Paese straniero siano riconosciute come valide in Italia.

Sostegno alla sanità di montagna. Quali sono stati gli investimenti della Regione Veneto nel quinquennio che si concluderà nel 2020?

Su questo aspetto assistiamo purtroppo a lamentele e polemiche che non hanno motivo di esistere e che spesso sono strumentalizzazioni politiche che hanno l’unico effetto di impaurire la gente senza motivo. Sulla sanità bellunese la Regione investe come in tutte le altre realtà regionali, sia con l’acquisto di macchinari innovativi, sia con interventi di carattere strutturale che organizzativo. Senza contare che, in sede di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale, Belluno (con Rovigo) gode di particolare attenzione per la sua caratteristica di area “disagiata”. Detto questo, faccio tre esempi di quanto campate in aria siano state alcune recenti polemiche: la Regione vuole chiudere il Codivilla Putti di Cortina! Falso: il Codivilla è stato rilanciato e sta per diventare una nuova punta di diamante della sanità veneta con uno sguardo anche al servizio da assicurare alle grandi manifestazioni sportive che si terranno, come i Mondiali di Sci 2021 e le Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026; la Regione vuole chiudere il Punto nascita di Pieve di Cadore! Falso: la Regione ha deciso di mantenere attivi tutti i punti nascita del suo territorio, anche quelli, come Pieve, che la normativa nazionale vorrebbe chiudere perché al di sotto dei 500 parti l’anno. Si è arrivati a dire che la Regione voleva chiudere persino una struttura privata (convenzionata) per la cura dell’asma nei bambini a Misurina. Falso! La Regione è corsa in aiuto di questa eccellenza confermando 1 milione 203 mila euro di convenzione l’anno per i prossimi tre anni e facendosi parte attiva per promuovere le cure erogate presso tutte le altre Regioni d’Italia e con la rete dei Pediatri di Libera scelta. E’ di questi giorni l’annuncio del management di Misurina che la struttura non chiuderà. Solo tre esempi, mi sembra significativi, di quanto la Regione tiene in considerazione i suoi territori montani e i servizi sanitari di cui hanno bisogno.

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