Una famiglia di emigranti

da | 24 Gen 2020 | 0 commenti

Tempo di lettura: 2 minuti

Sono nata a Quilmes. La mia famiglia è emigrata perché mio nonno ha vissuto entrambe le guerre ed era preoccupato che ne scoppiasse una terza. Girava voce che in Argentina non ce ne fosse il rischio. Prima sono venuti i miei zii, nel 1950 circa, poi i miei nonni, mentre mia mamma, Ildegonda Simonetto, è arrivata nel 1960. La famiglia materna non sapeva parlare spagnolo, ma si è adattata bene perché l’Argentina aspettava l’arrivo dei migranti per popolare il territorio. Gli immigrati hanno lavorato molto, anche se inizialmente con poco profitto economico, ma erano determinati grazie all’idea di lavoro e progresso. Negli anni ’90 sono stata due volte a Belluno e ad Arten. Le case, la storia e le strade di Belluno mi sono piaciute moltissimo. È stato molto emozionante. Uno dei miei zii ha scritto un libro, “Vita grama”: spiega la vita prima e durante la guerra, vicende che raccontava spesso anche a noi. Mentre visitavo l’Italia pensavo a queste storie e mi sembrava di essere dentro quei racconti. Nel cuore sapevo di essere parte dell’Italia. Non mi sentivo straniera. L’Italia rappresenta, innanzitutto, la nostalgia della quale la mia famiglia ha sempre sofferto, tant’è che continuano sempre a parlare delle loro origini. La nostalgia è il “dolore del ritorno”. Dico del “ritorno” perché sempre c’è l’idea del ritornare alle origini. L’Italia è anche l’idea del lavoro, del progresso, dell’unione familiare, della religione, della cultura, della letteratura… princìpi molto forti che voi italiani avete portato in Argentina. Vi rispettiamo per averci fatto crescere lavorando molto. Tra i due paesi non ci sono tante differenze perché c’è molto dell’Italia nella nostra cultura. Forse la diversità più evidente è nell’organizzazione: noi non siamo così organizzati come voi nelle leggi, nelle istituzioni… in Argentina c’è molta povertà e si sente, mentre in Italia non penso ci sia. Inoltre, voi preservate molto la storia mentre noi non abbiamo ancora questa mentalità. La mia vita e il mio cuore sono divisi tra Argentina e Italia. Parlo italiano e spagnolo e mi sono sempre piaciute le lingue. Sono state come una porta nella mia professione. Infatti, anche per questo ho deciso di studiare psicoanalisi, perché in questa disciplina il linguaggio è fondamentale in quanto fattore che costruisce la realtà. Parlare più di una lingua permette di comprendere che non c’è una sola visione, né un’unica verità. Ognuno ne ha una in base anche alla propria lingua materna. Parlare più lingue fa riflettere sulle diversità, sulle differenti forme di pensiero e insegna a rispettare l’altro. Quando si parla più di una lingua si sa che nessuno è padrone della verità.

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