Emigrazione dalle Dolomiti nel corso del Novecento. 
Storie di esodo da Colle Santa Lucia, 
Livinallongo e Rocca Pietore
. Presentato il nuovo volume edito da “Bellunesi nel mondo – edizioni” ed “Istituto Culturale Ladino – Cesa de Jan”

da | 5 Mar 2021 | 0 commenti

Tempo di lettura: 7 minuti

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Emigrazione dalle Dolomti nel corso del Novecento

“Emigrazione dalle Dolomiti nel corso del Novecento. Storie di esodo da Colle Santa Lucia, Livinallongo e Rocca Pietore” è il titolo della nuova pubblicazione, a firma di Luciana Palla, edita da “Bellunesi nel mondo – edizioni” e “Istituto Culturale Ladino – Cesa de Jan”.

Già una trentina di anni fa era iniziato il lavoro di raccolta delle prime storie di emigrazione. Avvertendo l’importanza di quei racconti per ricostruire una parte ancora poco nota della storia delle comunità ladine, si era deciso di iniziare una ricerca che riguardasse l’esodo dalla montagna, ma solo un paio d’anni fa il progetto ha cominciato concretamente a prendere piede. Nel frattempo molte cose erano cambiate: i testimoni di allora erano quasi tutti ormai scomparsi e parecchi studi erano stati fatti sulle vicende migratorie di molte comunità del Bellunese, del Veneto, del Trentino. Il momento per la ricerca però era giusto, perché bastava pronunciare la parola emigrazione, e subito c’era una reazione: o di ricordi del passato, o di commento del presente in senso lato sui fenomeni mondiali di spostamenti di popolazione che stiamo vivendo. E così il progetto è partito.
È stato scelto un territorio geograficamente limitato – principalmente i comuni fra loro confinanti, o comunque vicini, dell’Alto Agordino: Livinallongo, Colle Santa Lucia e Rocca Pietore – per poter approfondire l’argomento a tutto campo e in profondità, con comparazione delle fonti più diverse raccolte sia negli archivi che fra la popolazione locale.

Il fenomeno migratorio varia per modalità, tempi e destinazioni, da valle a valle, da paese a paese. Dal comune di Rocca Pietore si parte in massa già negli ultimi decenni dell’Ottocento verso le Americhe, ma soprattutto verso Svizzera e Germania. Livinallongo e Colle Santa Lucia sono comuni ladini austriaci fino alla prima guerra mondiale: la loro organizzazione economica e politica è diversa che sotto il Regno d’Italia e differenti sono i movimenti di popolazione. Ma non sempre – come vedremo – i confini politici dell’epoca sono così decisivi nell’orientare i flussi di entrata ed uscita dal paese: molti altri fattori incidono sulle scelte del rimanere o del partire.

L’arco di tempo considerato è il Novecento; il progetto iniziale riguardava il periodo dal 1945 ad oggi, ma poi, nel corso della ricerca, parlando con le persone, scandagliando gli archivi privati che le stesse ci mettevano così gentilmente a disposizione, l’attenzione si concentrava sempre più sulla prima metà del Novecento fino agli anni sessanta, perché da lì venivano le storie più note, le fotografie conservate con più cura. È nata così l’idea di concentrarsi al momento sull’emigrazione di tipo tradizionale, argomento di cui è stato scritto molto finora toccando però solo marginalmente i comuni oggetto di questo studio.
Dal materiale così interessante (fotografie, lettere, documenti) è scaturita come primo risultato concreto una mostra, che dall’estate 2019 è stata esposta in varie parti (Colle Santa Lucia, Bolzano, Arabba) con grande partecipazione ed interesse, purtroppo poi bloccata nei successivi progetti di allestimento dalle conseguenze del Covid 19. Approfittando della disponibilità e della capacità narrativa incontrate è stato prodotto anche un filmato, con quattro interviste di persone anziane, che nel loro breve racconto riescono ad esprimere in modo molto efficace, anche sul piano emotivo, quella che fu l’esperienza dell’emigrazione che esse hanno vissuto direttamente o tramite le vicende dei loro parenti. Raccontano di chi partiva, ma anche di chi aveva scelto di rimanere. Perché la partenza di tanti fu vissuta talvolta da chi restava come un tradimento, un abbandono, una sfiducia nelle possibilità che la propria terra poteva offrire.

Questo volume è stato costruito senza pretese di completezza, valorizzando quanto è stato messo a disposizione dalle comunità locali. Non è quindi una “storia dell’emigrazione”, ma sono tante storie, ognuna diversa, di persone che hanno lasciato traccia di sé o in epistolari, o in fotografie, o nei racconti orali giunti fino a noi. A una prima parte introduttiva di inquadramento storico del fenomeno migratorio nel tempo e nello spazio relativamente soprattutto alla provincia di Belluno e all’Agordino, segue una sezione antologica suddivisa per zone di emigrazione, in cui si dà spazio alle parti più organiche e strutturate di alcuni epistolari, con l’accompagnamento di altrettanto significativi scatti fotografici. Le fonti si incrociano: nelle immagini si appare spesso sorridenti e sereni, ma nelle lettere si leggono i sentimenti più contrastanti, che ci riportano ad una realtà che nelle fotografie si vuole forse nascondere anche a se stessi.
La comunicazione per lettera era allora l’unica possibile, per cui gli emigranti potevano affidare solo allo scritto tutto ciò che volevano o dovevano far sapere ai loro destinatari in patria. Nelle lettere che nei modi più diversi sono arrivate fino a noi dopo decenni, o addirittura dopo un secolo e più, c’è perciò un po’ di tutto: in una forma di italiano legata alle proprie condizioni di alfabetizzazione spesso molto avanzate per l’epoca, o con espressioni dialettali usate per esprimersi in maniera più libera e spontanea, si dà voce ai sentimenti più vari. Vi si legge molto timor di Dio, rassegnazione, un affidarsi alla provvidenza, condivisione con i propri cari lontani delle reciproche difficoltà, consigli sia pratici che di tipo morale.

Vi sono però anche espressioni astiose e risentimenti personali soprattutto quando si percepisce che in propria assenza sono stati calpestati diritti riguardo alla proprietà e all’eredità di famiglia. C’è talvolta molta amarezza per il comportamento di chi è rimasto a casa, per le dicerie e le maldicenze di paese che comunque arrivano all’altro capo del mondo, perché gli emigranti in genere sono a gruppi, e l’uno non manca di riferire all’altro anche le cattiverie di cui è venuto a conoscenza. Emergono anche tristi osservazioni sulla vita in loco degli emigranti stessi: c’è chi si comporta male, perde il controllo di sé, beve, si ubriaca e si trova coinvolto in zuffe. Pure all’interno della comunità degli emigranti, anche se di essa fanno parte conoscenti e parenti, i rapporti sono spesso affatto armonici e il conflitto è dovuto soprattutto al riflesso di litigi tra le famiglie al paese.

Qualche plico di corrispondenza è stato conservato per il suo intrinseco interesse legato a fatti ed emozioni vissute, come quella di Andrea Lezuo, del tutto straordinaria come storia di vita. Gran parte dei documenti invece è arrivata fino a noi grazie a qualche appassionato della storia della famiglia e del paese, che ha conservato lettere e fotografie trovate in casa o consegnategli da parenti. In genere queste sono lettere “pulite”. Altri piccoli pacchi di missive ci sono giunti in maniera del tutto singolare: o attraverso lo spoglio di un fondo cartaceo passato da una famiglia all’altra tanto che è ben difficile oggi risalire all’identità degli autori, oppure sono rimasti in un cassetto e sono stati scoperti per puro caso, un po’ mangiati dai topi, un po’ rovinati dall’umidità. Gli epistolari sono materiale importantissimo per noi oggi, per capire cosa fu l’esperienza migratoria sia per chi partì sia per chi rimase a casa, ma sono una fonte delicatissima per tutti i riferimenti personali che contengono.
Qui per discrezione e per rispetto della riservatezza non ci si è addentrati in questi drammi personali, ma ci si è soffermati solo su quanto poteva essere riportato senza ledere la dignità delle persone. Si è cercato di entrare in punta di piedi nell’intimità che si riversa nelle lettere, scritte con l’idea che si sarebbero fermate al destinatario e non sarebbero state divulgate ad altri – qualcuno anzi chiedeva espressamente che il suo scritto venisse bruciato dopo averlo letto -, desiderio che evidentemente allora non è stata esaudito.
Dagli anni settanta del Novecento finisce l’emigrazione di tipo tradizionale dal Bellunese e dal Veneto, che viene qui documentata. Negli ultimi decenni poi, i movimenti migratori cambiano del tutto in destinazione e tipologia e cambia anche il tipo di fonte: ad esempio l’uso della fotografia e della lettera è molto inferiore, fino a scomparire, si comunica ormai in altro modo.

Nel prossimo futuro ci si propone di riprendere il discorso da dove è stato lasciato con questo volume. L’intenzione è di continuare la ricerca con studi sul secondo dopoguerra fino ad oggi, sui movimenti di popolazione in uscita dalla montagna, ma anche in entrata man mano che si afferma il turismo: raccontare insomma i movimenti di espulsione dalla montagna, ma anche di attrazione, a seconda dell’opportunità economiche che vengono offerte nel tempo ai suoi abitanti.

La pubblicazione è stata realizzata grazie all’Istituto Culturale Ladino “Cesa de Jan” che fin dall’inizio ha approvato e finanziato il progetto, e grazie all’Associazione Bellunesi nel Mondo che ha sostenuto in ogni modo concreto l’iniziativa sia della mostra, che del presente volume.

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