CADORE, FESTE, SAGRE E TRADIZIONI

da | 2 Ott 2013

Tempo di lettura: 8 minuti

cadoreLe feste nei tempi passati erano occasione di sincera e schietta allegria fatta di poche semplici cose, sufficienti per il buon umore della popolazione. Le festività erano occasioni per le ragazze di vestire bel il costume tramandato da madre in figlia arricchito ad ogni generazione con nuovi ornamenti e gioielli, sino a diventare prezioso.

In occasione delle solennità religiose venivano eseguiti cori, musiche e danze. Le danze nei tempi più antichi erano figurate, poi i giovani che emigravano per lavoro portarono in Cadore i nuovi balli: la Manfrina, la Polacca, la Polka saltata, il modernissimo Walzer superato dall’argentino Tango.

Una delle ricorrenze più attese a Valle, Nebbiù e Pozzale era la festa dell’Epifania, chiamata la festa della Buona Stella. La sera precedente la celebrazione i giovani si riunivano in gruppetti per allestire un grande stellone luminoso e, con questo, andavano vestiti da Re Magi di casa in casa, di villaggio in villaggio, portando con canti e filastrocche gli auguri del Nuovo Anno.

I giovani erano attesi dalle famiglie che, per l’occasione, avevano appositamente preparato dolcetti, crostoli, castagnole, frutta, bevande e piccoli doni. Le ragazze approfittavano dell’evento per porre sulla confezione dei doni un fiocco, un nastro, un ricamo, un ornamento particolare.

Concluso il giro, i ragazzi si riunivamo in casa di uno di loro per far Filò e distribuire i doni. Ogni giovane teneva per sé il dono con il segno della giovane che aveva destato le sue simpatie, occasione forse ideata e attesa da molto tempo.

Alla prima domenica successiva alla festa dell’Epifania, il giovane sul vestito indossato per partecipare alla messa portava all’occhiello il convenzionale segno segreto. Ogni ragazza cercava con gli occhi, curiosità e un filo d’apprensione il proprio ornamento. Se lo avvistava, allora nei cuori dei due giovani nascevano speranze e apprensioni, e iniziava l’antico gioco dell’amore. Dopo la messa, sul sagrato della chiesa i giovani si fermavano a chiacchierare.

I fidanzati si fregiavano del segno dell’innamorata. Per quelli che non lo portavano la mancanza era l’altrettanto eloquente segno convenzionale. A questa prima parte della tradizione, il sabato successivo alla messa della domenica, seguiva una seconda occasione d’incontro fra i due giovani partecipando alla festa danzante che si teneva in un’osteria del paese. Nel corso del trattenimento i sentimenti reciprocamente corrisposti si consolidavano con il fidanzamento, sicuro preludio del matrimonio con l’approvazione delle famiglie.

Altri avvenimenti molto attesi dai giovani e occasioni d’incontro erano le feste che celebravano i santi patroni del paese e del villaggio. Ogni paese contava due, tre e anche quattro patroni che onorava e celebrava nel corso dell’anno. In alcune occasioni le feste erano chiamate sagre o fiere, assumendo fattore commerciale importante, come le fiere primaverili per l’acquisto dell’attrezzatura agricola e dei semi, e quelle autunnali per stabilire i nuovi prezzi dei prodotti dei campi, dei frutteti, dei foraggi e del bestiame.

Le feste erano annunciate il giorno precedente dal suono a distesa del Campanotto, la campana suonata con un bronzo, mentre i suonatori manovravano contemporaneamente con un certo ritmo anche i battagli delle altre campane componenti del concerto campanario, producendo un effetto caratteristico piacevole e melodioso per ricordare l’imminente festa.

In occasione delle feste importanti civili e religiose, sulle alture e sui monti attorno alla valle e l’abitato, i giovani paesani accendevano i propiziatori Falò che brillavano nella notte creando motivo di allegria. La popolazione ammirata assisteva al focoso evento dalle piazze, seduta sui poggioli dei fienili, delle case e dalle finestre.

In queste occasioni i giovani lanciavano in aria con l’aiuto di una fionda le Rocchette, rotelle di legno infuocate della grandezza di una ciotola che, cadendo, lasciavano una suggestiva scia. Molte Rocchette lanciate formavano effetti speciali. E’ questa una tradizione molto antica di origine Celtica in onore del dio Baleno, un tempo festa molto frequente in tutte le vallate delle Dolomiti e delle Alpi.

La tradizione vuole che del lancio delle Rocchette in Cadore sia stata iniziata dagli zatterieri del Piave, gli uomini che accompagnavano il legname da Perarolo alla laguna di Venezia. Lo avrebbero visto praticare dalle popolazioni contadine venete in alcune occasioni lungo il corso del fiume.

La tradizione perduta nel Bellunese è attivamente praticata nella vicina regione friùlana della Carnia, dove i giovani dall’alto del colle a fianco del falò lanciano Le Cidulis.

A Perarolo il lancio delle Rocchette era praticato in numero maggiore che ogni altra località cadorine, forse per la particolarità dell’ambientale caratterizzato dalla presenza degli specchi d’acqua favoriti dall’unione del torrente Boite al fiume Piave, che offrivano meno pericoli d’incendio che in altre località dove si contavano numerose abitazioni e fienili costruiti interamente con legno.

A Sottocastello in occasione della festa agostana in onore di San Lorenzo, e anche in occasione di altre feste paesane, erano lanciate dai giovani delle pigne dall’alto del Crepo, la roccia che si trova a levante dell’antico borgo.

In questo periodo estivo molta della popolazione valligiana si trovava in alta montagna per la fienagione, dove trascorreva nella casere-baite la notte, scendendo a valle soltanto sabato pomeriggio per i necessari acquisti e per la domenicale messa. Per la festa di San Lorenzo era tradizione che i paesani rientrando a casa portassero un mazzetto di erica da porre sul costume per il grande ballo che si svolgeva in piazza.

A Tai di Cadore per la festa di Sant’Apollonia non sempre si poteva ballare, perché cadendo l’evento il 9 febbraio, la ricorrenza rientrava nel periodo Quaresimale. Grande festa quando Sant’Apollonia coincideva con il periodo carnevalesco in cui i balli erano abituali in molte famiglie e ovunque venivano confezionate frittelle e Crostoli.

Nelle osterie erano frequenti i balli che iniziavano lì per lì, al ritmo d’improvvisate orchestrine formate da suonatori di fisarmonica, chitarra, mandolino e talvolta violino. I bravi suonatori sapevano costruirsi gli strumenti impiegando selezionati legni per realizzare, pifferi, zufoli, baghe, siringhe, liuti, tamburelli e qualche originale strumento come le casse armoniche che disponevano di un foro dov’era introdotta un’asticella a pressione per ottenere suoni ritmati.

Il periodo di Carnevale era atteso per le feste danzanti mascherate, per i canti corali, per l’allestimento dei carri mascherati rievocativi di antiche pagine di storia e leggende. I partecipanti ponevano grande cura all’abbigliamento vestendo abiti occasionali e si coprivano la faccia con maschere dall’aspetto ilare e grottesco scolpite nel legno.

La maschera era trattenuta fissata all’interno con una cordicella e, afferrata da chi l’indossava con i denti, consentiva di dare al volto una certa mobilità assumendo effetti comici. Purtroppo le maschere dopo la pubblica esibizione nella quasi totalità dei casi venivano bruciate per non dar modo a chi l’aveva indossata di farsi riconoscere. Un patrimonio della tradizione inconsapevolmente perduto.

In Cadore l’occasione per una grande festa privata e pubblica era anche la celebrazione del matrimonio, come nel resto del mondo, perché coinvolgeva gran parte della popolazione del villaggio e del paese. I futuri sposi dovevano seguire il cerimoniale antico e complesso prima e dopo aver pronunciato il fatidico “si”.

Il giorno del matrimonio gli invitati si riunivano dal primo mattino a casa della Novizza dove veniva offerto un ricco rinfresco con cibarie salate e dolci, vino bianco secco e dolce, vino rosso, Marsala, liquori casalinghi alle erbe, alla ruta, nocino.

Quando la sposa aveva vestito l’abito nuziale, all’ultimo momento veniva raggiunta dal fidanzato accompagnato dal compare d’anello. Dopo i convenevoli e qualche brindisi con gli invitati, la futura sposa al braccio dal testimone di nozze apriva il corteo seguita dallo sposo che dava il braccio a una donna sposata, a una sorella, a un’amica della fidanzata. Gli uomini del corteo portavano un cartoccio con fave abbrustolite inzuccherate o ricoperte di miele, che distribuivano quale segno di prosperità e letizia a quanti facevano ala lungo il tragitto.

Il corteo dalla casa della sposa muoveva in direzione della chiesa per la celebrazione del rito, i futuri sposi erano seguiti dai genitori, parenti e invitati. Nel corso del rito religioso il compare di nozze del marito donava alla sposa un anello.

Dopo la cerimonia gli sposi uscivano dalla chiesa a braccetto accolti sul sagrato dagli evviva degli invitati e della popolazione convenuta per festeggiarli. I giovani del villaggio facevano scoppiare i Màscioi, i mortaretti confezionati con legno di sambuco cavo. Seguiva il pranzo della festa accompagnato da cori, musiche e danze.

DOLCI E LIQUORI DELLE FESTE

Crostoli

500 gr di farina 00, 1 uovo fresco, 2 tuorli d’uovo, 150 gr di burro, 1 cucchiaio di grappa, la buccia grattugiata (solo il giallo) di 1 limone biologico, 1 cucchiaino di lievito per dolci, zucchero a velo, sale. Olio per friggere. Sulla spianatoia formare con la farina la fontana, aggiungere l’uovo sgusciato, unire i tuorli d’uovo, la grappa, la buccia grattugiata del limone (solo il giallo), lievito, un pizzico di sale. Lavorare vigorosamente fino ad ottenere una pasta omogenea, morbida, consistente. Con l’aiuto del matterello sulla spianatoia tirare la sfoglia sottilissima. Con la rotella dentata ritagliare dei rombi pasta di 10 cm circa di lunghezza. Ottenere dei ritagli al centro dei rombi ed incrociarli con grazia. In una padella dai bordi alti posta sul fuoco vivace con olio caldissimo, introdurre pochi alla volta, friggerli fino a che assumeranno un bel colore ambrato, ritirarli con la paletta bucata, scolarli, porli sul piatto caldo di servizio sul cui fondo è stato posto un foglio doppio di carta assorbente da cucina, spolverarli con zucchero in polvere e portare in tavola.

Liquore ai mirtilli

Sciroppo ai mirtilli indicato per fine pasto ad accompagnare i dessert, piacevole anche servito come bibita dissetante. Questo liquore è impiegato in cucina nella preparazione di dolci al cucchiaio e nella confezione di fresche granatine. Piacevole per arricchire coppe di gelato alla crema. Aggiunto ai dessert offre una gustosa e piacevolmente simpatica nota di colore.

400 g di mirtilli, 400 g di zucchero, 1/4 di buccia di limone (solo il giallo), 100 g di vino Albana dolce, 100 g di alcool 95°.

Porre i mirtilli in un vaso di vetro a chiusura ermetica (1 kg), aggiungere lo zucchero, coprire con un panno e porre al sole fino a che lo zucchero sarà sciolto, aggiungere l’alcool, il vino, la buccia di limone, chiudere ermeticamente e porre il vaso con gli ingredienti a stagionare in luogo asciutto, fresco e buio per ameno 6 mesi prima di servire.

Renato Zanolli

0 commenti

Diventa socio

Diventa socio dell'Associazione Bellunesi nel Mondo

Dona il 5×1000 all’ABM

Dona il 5x1000 all'Associazione Bellunesi nel Mondo

Ascolta Radio ABM

Ascolta Radio ABM - voce delle Dolomiti

Entra nella community di Bellunoradici.net

Entra nella community di Bellunoradici.net

Visita il MiM Belluno

Visita il MiM Belluno - Museo interattivo delle Migrazioni

Scopri “Aletheia”

Scopri il Centro studi sulle migrazioni Aletheia

I corsi di Accademiabm.it

Iscriviti a un corso di Accademiabm.it - la piattaforma e-learning dell'Associazione Bellunesi nel Mondo

Share This
Open chat
1
Ciao, come possiamo aiutarti?
Skip to content
Design by DiviMania | Made with ♥ in WordPress