Un’Italia in crescita… all’estero

da | 29 Dic 2021 | 0 commenti

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L’unica Italia che cresce è quella fuori dai confini nazionali. Strano ma vero. È quanto emerge dall’ultimo Rapporto Italiani nel Mondo, l’annuale report che la Fondazione Migrantes traccia per fornire un quadro aggiornato sulla mobilità nel nostro Paese.

L’edizione 2021 – la sedicesima da quando il progetto ha preso il via nel 2006 – assume un rilievo del tutto particolare. Sotto esame, infatti, la situazione migratoria di un anno segnato dalla pandemia e dalle relative restrizioni. Nemmeno il Covid, però, ha fermato le partenze. Le ha sicuramente limitate, a livello numerico, rispetto agli anni precedenti, ma non ha del tutto arrestato i flussi in uscita. E se al suo interno l’Italia si trova a fare i conti da un lato con il consistente calo delle nascite e dall’altro con la riduzione della presenza straniera (l’Istat ha certificato nei mesi scorsi come dopo un ventennio di crescita ininterrotta anche la popolazione immigrata si stia ridimensionando e non riesca più a compensare l’inverno demografico italiano), ecco che si arriva al paradosso iniziale: i residenti nella Penisola si assottigliano, quelli oltre confine aumentano. Attualmente, stando ai dati ufficiali, ossia quelli – sempre inferiori ai numeri reali – derivanti dall’iscrizione all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), i connazionali nel mondo sono 5.652.080 (dato al 1 gennaio 2021), cifra che rappresenta il 9,5% rispetto ai circa 59,2 milioni di italiani residenti in Italia.
I nuovi iscritti all’Aire nel corso del 2020 sono stati 222.260, il 13,7% in meno rispetto al 2019. Effetto, come si diceva, della pandemia, che però non ha inciso in maniera uniforme sulle diverse componenti che alimentano l’Anagrafe. Osservando i motivi di iscrizione, infatti, si nota come le due ragioni prevalenti – “nascita” ed “espatrio” – abbiano registrato traiettorie opposte: il primo fattore (le nascite all’estero da genitori italiani) è cresciuto, il secondo (le partenze vere e proprie) è diminuito.

I nuovi emigranti
Entrando nel dettaglio di quest’ultimo aspetto, quello che rappresenta l’emigrazione vera e propria, si evince che gli italiani con la valigia sono stati 109.528, circa 21.400 in meno rispetto all’anno precedente.
Tra i nuovi emigranti prevalgono i maschi (54,4%), i single (celibi e nubili sono il 66,5%) e i giovani o giovani-adulti (il 42,8% ha tra i 18 e i 34 anni e il 23,1% tra i 35 e i 49). Le diminuzioni maggiori si riscontrano invece tra gli anziani (-28,7% nella fascia di età 65-74 anni e -24,7% in quella 75-84 anni) e tra i minori al di sotto dei 10 anni (-20,3%).
«Nell’anno della pandemia – evidenzia il RIM – il “rischio” di uno spostamento è stato volutamente evitato dai profili più fragili, anziani e bambini. Gli anziani sono stati i più colpiti dal Covid per numero di decessi e ai bambini, che sono esclusi dalla vaccinazione, è stato dato il ruolo di principali vettori di trasmissione del virus».

Partenze dal Nord
Approfondendo ancora il profilo di chi nonostante l’emergenza sanitaria non ha rimandato i propri progetti per l’estero, si rileva che le partenze sono avvenute prevalentemente dal Centro-Nord (69,5% del totale), con in testa Lombardia e Veneto. Già da qualche anno le due regioni settentrionali rappresentano i territori da cui avviene il maggior numero di espatri in termini assoluti. Da gennaio a dicembre 2020 la Lombardia ne ha contati 19.402 (17,7%), il Veneto 12.346 (11,3%). In linea con quanto esposto in precedenza, tutte le regioni (tranne l’Umbria) hanno registrato saldi negativi nel confronto con il 2019. In questa specifica graduatoria svetta il Veneto, con un saldo negativo di -2.762 unità.

Lontano ma non troppo
Anche guardando alle destinazioni si scorgono i possibili effetti della pandemia sulle scelte della nuova emigrazione. Complessivamente, i Paesi che hanno accolto cittadini italiani nell’ultimo anno sono stati 180. Tra i primi dieci per consistenza numerica, ben sette sono europei. E infatti, dei 109 mila connazionali che hanno salutato l’Italia la fetta più grossa non si è allontanata troppo, optando per un trasferimento in Europa, continente che ha assorbito il 78,7% del flusso totale. «Probabilmente – ipotizzano i redattori del RIM – la vicinanza della meta di destinazione è stata una sorta di strategia di contenimento dei rischi a cui si andava incontro e non solo per la possibilità di contrarre il virus, quanto piuttosto per le condizioni del sistema sanitario del luogo prescelto e delle indicazioni ivi adottate».
Prima meta in assoluto è stata il Regno Unito, con 33.293 espatri (30,4%). A seguire, sul podio, la Germania con 13.990 (12,8%) e la Francia con 10.562 (9,6%).

Perché il Regno Unito?
Secondo la Fondazione Migrantes, il forte aumento di italiani oltremanica è il risultato di due fattori. Il primo è legato a cause contingenti: l’uscita del Paese dall’Unione europea («dopo la Brexit, molte persone si sono iscritte all’AIRE nell’errata convinzione che la registrazione coincidesse con una regolarizzazione anche con le autorità britanniche») e le modalità operative delle rappresentanze diplomatiche italiane in terra britannica («l’assunzione di nuovo personale presso i Consolati italiani nel Regno Unito ha permesso lo smaltimento delle pratiche che si erano accumulate nel corso dei mesi, aumentando ulteriormente il dato reale dei flussi migratori»). Il secondo elemento ha carattere più strutturale, poiché «riflette la costante crescita dell’emigrazione italiana nell’ultimo decennio». Un’emigrazione che, puntualizza il report, «lungi dall’essere una mera “fuga di cervelli”, mostra un carattere complesso che coinvolge cittadini di tutte le età e titolo di istruzione», e che riguarda sia profili altamente qualificati, sia persone che si spostano alla ricerca di occupazioni anche a tempo determinato e spesso non qualificate.

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