Laureati con le valigie. Ecco perché cresce il numero di quelli che se ne vanno

da | 8 Set 2021 | 0 commenti

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Cresce il numero di laureati che decidono di lasciare l’Italia. O forse sarebbe meglio dire che sono spinti a farlo. A metterlo nero su bianco il Referto sul sistema universitario 2021 approvato dalle Sezioni riunite della Corte dei conti. Il documento, che prende in esame finanziamento, composizione, modalità di erogazione della didattica, offerta formativa e ranking delle università italiane (98 atenei di cui 67 statali, che comprendono 3 Scuole Superiori e 3 Istituti di alta formazione, nonché 31 Università non statali, di cui 11 telematiche), rileva come nel nostro Paese sia costantemente aumentata nel corso dell’ultimo decennio la quota dei giovani adulti con un titolo universitario. Quota che resta tuttavia inferiore rispetto alle altre nazioni dell’OCSE (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico)1. Il divario, spiega l’organismo governativo, «è riconducibile sia alle persistenti difficoltà di entrata nel mercato del lavoro sia al fatto che il possesso della laurea non offre, come invece avviene in area OCSE, possibilità d’impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore».

Ecco allora che le «limitate prospettive occupazionali, con adeguata remunerazione» inducono sempre più laureati a fare le valige. Un fenomeno, sottolinea la Corte dei conti, cresciuto del 41,8% rispetto al 2013 e aggravato da un altro fattore: la “fuga di cervelli” – precisa infatti il referto – «non è compensata da un analogo afflusso di persone altamente qualificate dall’estero», con il saldo netto che risulta dunque negativo.

Altra problematica osservata dal rapporto è «il mancato accesso o l’abbandono dell’istruzione universitaria dei giovani provenienti da famiglie con redditi bassi». Una circostanza che la Corte attribuisce a fattori culturali e sociali, ma anche «al fatto che la spesa per gli studi terziari, caratterizzata da tasse di iscrizione più elevate rispetto a molti altri Paesi europei, grava quasi per intero sulle famiglie, vista la carenza delle forme di esonero dalle tasse o di prestiti o, comunque, di aiuto economico per gli studenti meritevoli meno abbienti».

Aspetto, quest’ultimo, che per la magistratura contabile rende necessaria un’opera di aggiornamento e completamento dell’attuale normativa, al fine di dare piena attuazione alla disciplina del diritto allo studio, con la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e l’attivazione degli strumenti per l’incentivazione e la valorizzazione del merito studentesco.

Evidenziati anche profili di criticità nell’ambito della ricerca scientifica in Italia, con particolare riferimento a quella nel settore università. «Nel periodo 2016-2019 l’investimento pubblico nella ricerca appare ancora sotto la media europea – riporta l’analisi – mentre le attività di programmazione, finanziamento ed esecuzione delle ricerche si caratterizzano per la complessità delle procedure seguite, la duplicazione di organismi di supporto, nonché per una non sufficiente chiarezza sui criteri di nomina dei rappresentanti accademici in seno a tali organismi».

A tutto ciò si aggiunge una «notevole percentuale di lavoro precario nel settore della ricerca». Situazione che «determina la dispersione delle professionalità formatesi nel settore» medesimo.

Secondo lo studio risultano inoltre «ancora poco sviluppati i programmi di istruzione e formazione professionale, le lauree professionalizzanti in edilizia e ambiente, energia e trasporti e ingegneria», oltre a mancare i laureati in discipline STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), aspetti che incidono negativamente sul tasso di occupazione.
Segnali positivi emergono invece sul fronte della collaborazione tra università e settore produttivo privato, in particolare per quanto riguarda «il ruolo svolto da uffici per il trasferimento tecnologico e imprese spin off, con un notevole incremento della spesa per la protezione della proprietà intellettuale, più che raddoppiata nel quadriennio 2016-2019, come è quasi raddoppiato il numero dei brevetti concessi riconducibili alle attività di ricerca delle università italiane».

S.T.

Note: (1) Fanno parte dell’OCSE 37 Paesi, ossia: Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Turchia, Germania, Spagna, Canada, Stati Uniti, Giappone, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda, Messico, Repubblica Ceca, Corea del Sud, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Cile, Estonia, Israele, Slovenia, Lettonia, Lituania, Colombia.

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