Invasioni? I dati parlano chiaro, la propaganda no

da | 20 Mar 2019 | 0 commenti

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Negli ultimi mesi, a partire dalla estate scorsa, siamo stati sottoposti ad una pressione mediatica molto forte riguardo alla questione immigrazione. Dal caso della nave della Guardia costiera italiana Diciotti a quello della nave di Sea Watch, una ONG tedesca battente battente bandiera olandese, la questione ha quasi monopolizzato l’informazione sui notiziari. Dal 20 agosto, quando la Diciotti si è affacciata sul porto di Catania con 177 persone a bordo, a quando la Sea Watch ai primi di febbraio si è trovata nello stesso porto di Catania con 47 persone, è scoppiata una guerra di parole, che ha coinvolto un po’ tutti, la stampa, i governi europei, l’opinione pubblica, mentre molte persone restavano in sofferente e incomprensibile attesa.

È accaduto che in poco tempo il tema immigrazione sia diventato assolutamente centrale proprio mentre cominciava a calare sensibilmente il numero degli ingressi. Purtroppo l’atmosfera di questo dibattito  è approdata a toni molto accesi e a forzature propagandistiche, che fanno capire come il clamore non sia affatto casuale. Soprattutto, ora che il decreto sicurezza è stato trasformato in legge, resta la sensazione che si sia voluto montare dei casi, lasciando intenzionalmente in ombra la realtà delle persone e le conseguenze dei provvedimenti governativi adottati. Si è voluto dare la percezione di una invasione in atto, che richiederebbe provvedimenti drastici al fine di garantire una maggiore sicurezza nel territorio. Eppure, appare del tutto improprio parlare di invasione di immigrati, dal momento che già con il governo Gentiloni il flusso di immigrati si era sensibilmente ridotto.

Vi sono certo dinanzi al fenomeno migratorio legittime paure o inquietudini, ma non si può dimenticare che le migrazioni sono ormai un dato di fatto a livello mondiale e che non saranno di breve durata. Soprattutto va detto che, in assenza di canali legali di immigrazione, appare scontato che moltissime persone decidano di spostarsi in cerca di migliore fortuna facendo ricorso ai trafficanti di esseri umani. Occorrerebbe poi  operare per prevenire le migrazioni promuovendo lo sviluppo dei Paesi di provenienza, contrastando la corruzione, le guerre e il traffico di armi.

Ma che cosa cambia con il decreto sicurezza, il decreto legge 113/2018 convertito in legge e promulgato dal Presidente della Repubblica? La legge interviene su vari aspetti della normativa in materia di immigrazione e protezione internazionale. Rispetto alla accoglienza: coloro che giungeranno in Italia e presenteranno la richiesta di protezione internazionale saranno inseriti nei centri Cara (Centri di accoglienza per Richiedenti Asilo) o CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) per l’espletamento delle “operazioni necessarie per la definizione della posizione giuridica”. Non potranno più accedere al sistema di protezione Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Qualora non venga riconosciuta la protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria) al richiedente non potrà più essere riconosciuta la Protezione umanitaria, ma, eventualmente, un permesso di soggiorno per “protezione speciale”, che avrà però carattere residuale. Questo significa che i richiedenti ai quali non verrà riconosciuta alcuna forma di protezione internazionale dovranno lasciare i centri senza un permesso di soggiorno, in situazione di irregolarità. I minori non accompagnati avranno diritto invece di accedere allo Sprar , così come analogo diritto lo avranno i titolari di un permesso per “casi speciali”. Va detto però che le nuove norme non hanno valore retroattivo, per cui chi è ospite di centri di accoglienza, potrà rimanervi fino al termine della procedura. Restano da chiarire le forme che assumeranno i nuovo bandi  di appalto di servizi di accoglienza.

La nuova normativa in materia di immigrazione pone seriamente l’interrogativo su quale modello di società vogliamo: una società aperta, nella quale sia possibile la convivenza di etnie, culture, fedi diverse, o una società chiusa, autosufficiente, per la quale non sarà difficile individuare nel diverso da noi un nemico da combattere.

Francesco D’Alfonso diacono

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