Il fabbro Giovanni Battista Cadorin

da | 24 Gen 2020 | 0 commenti

Tempo di lettura: 2 minuti

Il mestiere di fabbro attraversa l’Atlantico: dal Cadore al Brasile. A portarlo con sé in nave, nelle sue braccia e nella sua mente, è Giovanni Battista Cadorin, fabbro per tradizione di famiglia. Nasce il 29 novembre 1841 e nel 1877 emigra in Algeria. Nel febbraio 1883 il viaggio verso il Sudamerica, con destinazione Urussanga, dove Giovanni Battista porta i suoi strumenti di lavoro fatti in Italia per continuare a fare quello che gli riesce meglio: lavorare il ferro. Opera in un capannone vicino a dove abita, nella comunità di Rio Salto, a solo un chilometro dal centro. Proprio in centro, dopo qualche tempo, apre un negozio. Si occupa di finitura e vendita di strumenti. Lo porterà avanti il figlio Lorenzo, nato l’11 febbraio del 1883, che saprà anche espandere l’attività costruendo una nuova fabbrica vicino alla Chiesa e al fiume “Americano”. Il lavoro da fare era tanto e, pur cattolico, a volte Lorenzo lavorava anche la domenica. “Sta atento Lorenzo – gli dicevano – che el diaol cualche dì el va iutarte”. Iniziarono le critiche dei fedeli, ma soprattuto cominciò a circolare una voce: Lorenzo aveva visto il diavolo seduto sull’incudine. La notizia girava in lungo e in largo, tanto che in un viaggio d’affari, fermatosi per dormire in una pensione, Lorenzo si sentì chiedere dal proprietario se la storia dell’incudine fosse vera. È solo una leggenda, cercò di spiegare. La sua voglia di emergere era più forte delle difficoltà. Acquistò nuove terre e ottenne il diritto di innalzare i livelli del fiume con una piccola diga. Un canale di venticinque metri portava l’acqua a muovere due rote, che a loro volta muovevano due mazze, tre forni, una stampatrice di zappe, un macinacaffè e una dinamo. La dinamo generava energia elettrica per la casa di Lorenzo e per l’Hotel Gazzola lì vicino. L’aumento di produzione espanse gli affari verso altri comuni e aziende più grandi. Andavano forte le zappe con il marchio LC (Lorenzo Cadorin). La famiglia dava una mano e oltre al ferro lavoravano anche uva, vino e cereali. Ogni giorno Carolina, la moglie di Lorenzo, preparava una polenta per tutti gli operai. Con il trascorrere degli anni la produzione si ridusse e nel 1963 la fucina restò in piedi per i soli bisogni famigliari.

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