Se è vero che ogni lingua diversa è una diversa visione della vita, lo sguardo di Giulia Dal Fabbro ha l’ampiezza di un grandangolo. Sei gli idiomi che padroneggia, oltre ovviamente all’italiano. Un talento, quello per le lingue, sbocciato sui banchi del liceo “Renier” di Belluno, coltivato studiando in giro per il mondo e messo a frutto in una professione che l’ha portata nel cuore delle istituzioni europee. In Lussemburgo, per la precisione, dove Giulia lavora come agente linguista nell’unità di traduzione italiana della Commissione europea. «Un lavoro piuttosto tecnico e nel quale si fa molto uso della tecnologia», sintetizza lei parlando del suo elaborare testi che vengono discussi nelle sedi in cui hanno origine le decisioni comunitarie. Un compito che richiede competenze – e conoscenze – trasversali. Quelle che Giulia ha acquisito nelle tante esperienze di formazione già accumulate pur avendo solo 27 anni.
Ricapitoliamo il tuo percorso
Mi sono diplomata nel 2013 al Liceo Linguistico di Belluno. Il quarto anno delle superiori l’ho trascorso in Canada, a Saint-Pierre-les-Becquets, un comune nella provincia del Québec. Dopo la Maturità, mi sono iscritta alla Scuola per Interpreti dell’Università di Trieste, dove mi sono laureata alla Triennale conseguendo un doppio titolo con l’Università di Regensburg, in Germania. Il terzo anno sono stata a studiare a Mosca. A Trieste ho fatto anche la Magistrale e nel frattempo ho vinto una borsa di studio della Fondazione Italia-Usa per frequentare un master in “Global Marketing, communication & made in Italy”. Sempre in quel periodo, contestualmente alla Magistrale, ho partecipato a un progetto di scambio internazionale che mi ha permesso di tornare in Russia, all’Università di Astrakhan. Conclusi gli studi ho trovato impiego a Firenze in un’agenzia di traduzioni giurate, lavorando come traduttrice e project manager. Questo lavoro mi ha consentito di ottenere un tirocinio al Parlamento europeo, mentre da maggio di quest’anno, dopo aver vinto un concorso, sono approdata alla Commissione.
Come è stato l’impatto con le istituzioni europee?
Mi è piaciuto fin da subito. Mi ha stupito trovare una realtà informale, amichevole e disponibile. Ovviamente le gerarchie ci sono, ma non pesano, anzi, i rapporti sono aperti. E poi ho apprezzato il contesto internazionale, le relazioni con i colleghi, il fatto di parlare molte lingue diverse e lo scambio continuo tra culture che questo implica. Sicuramente è un bell’ambiente in cui lavorare.
Un lavoro in cui non bastano solo le competenze linguistiche, ma che richiede anche la conoscenza dei temi di dibattito. Come ti prepari?
C’è una rete interna alla Commissione che consente l’accesso diretto a un gran numero di contenuti: video, documenti, articoli e notizie sui diversi argomenti in discussione. Leggere quotidianamente questi materiali aiuta molto. Poi, se ci sono temi specifici, si fa ricerca.
Com’è la vita nella città di Lussemburgo?
Molto particolare. Buona parte della popolazione non è lussemburghese e questo fa sì che non ci sia un’identità locale forte e definita. C’è un clima internazionale che emerge in tutti gli aspetti, dalla gastronomia all’architettura. Una situazione che dà vitalità e vivacità all’ambiente. La città è relativamente piccola e tranquilla. Diciamo che il Lussemburgo non è un Paese di cui mi sono innamorata, ma sicuramente, se dovessi farmi una famiglia, sarebbe un ottimo posto in cui vivere dal punto di vista dei servizi e delle garanzie sociali. Qui la qualità di vita è impareggiabile.
Nessun difetto?
Un punto dolente è rappresentato dalle difficoltà di collegamento, sperimentate soprattutto durante questo periodo di pandemia. A volte ho provato una sensazione di ingabbiamento. Può essere frustrante voler andare altrove ma sapere di non poterlo fare. Tornare a casa, per esempio, non era impossibile, ma particolarmente complicato. Nel breve periodo, volendo rimanere nell’ambito delle istituzioni europee, non mi dispiacerebbe traferirmi a Bruxelles, una città più grande e meglio collegata.
Delle altre esperienze di vita all’estero cosa ricordi in particolare?
L’anno in Canada mi ha fatto crescere. Mi ha permesso di aprire gli occhi sulle differenze culturali e mi ha fatto stringere rapporti che dureranno per sempre. È stato un modo per aprire orizzonti. Anche il secondo periodo in Russia, ad Astrakhan, è stato importante, per ragioni diverse. È stata un’esperienza difficile, in condizioni di vita precarie, che però mi ha fornito la consapevolezza di quanto siamo fortunati ad avere ciò che abbiamo in Europa e in Italia.
Un consiglio a chi sta progettando il proprio futuro?
Non fissarsi per forza su un obiettivo specifico a 18 anni. Si possono fare tante esperienze che a loro volta aprono nuove porte, fino ad arrivare ad esiti che magari prima non si erano nemmeno immaginati e ai quali, puntando dritti su una cosa, non si sarebbe giunti. Provare, fare esperienze. Questo è ciò che mi sento di dire.

