Epidemia, pandemie… storie vecchie e nuove

da | 21 Apr 2020 | 0 commenti

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Trionfo della morte. già a palazzo Sclafani, galleria regionale di Palazzo_Abbatellis, Palermo (1446)
Trionfo della morte. già a palazzo Sclafani, galleria regionale di Palazzo Abbatellis, Palermo (1446)

La grave situazione creatasi, anche in provincia di Belluno, per l’epidemia da coronavirus segna e segnerà la memoria di tutti noi con un ricordo traumatico e indelebile.
Anche nel passato tra guerre, terremoti e pestilenze, la popolazione bellunese ha sicuramente sofferto molto.
Nel “Chronicon bellunese” che il canonico Clemente Miari scrisse tra il 1383 e il 1412, viene testimoniata la grande paura che l’epidemia di peste, iniziata nel 1347-48 e ricorrente per almeno quasi quattro secoli, provocava tra i bellunesi.
Si riportano alcuni passaggi del Chronicon:

17 settembre 1397 Giannantonio Miari figlio di Andrea che era ospite a Venezia da ser Giorgio del Ghibellino tornò a Belluno a causa di una immensa epidemia di peste, ma il podestà della città non gli permise di entrare fino a che non avesse fatto quarantena di sicurezza.
Il 25 luglio 1398 Giacomo Miari canonico bellunese si ammalò di peste e il 27 luglio morì.
il 4 agosto 1398 Giangaleazzo Visconti, dominante la città di Belluno, inviò una lettera in cui si diceva dispiaciuto dei contrasti tra due famiglie ghibelline della città, i Miari e i Doglioni, e li invitava a trovare un accordo con la presenza di suoi emissari: Cervato de’ Vistarino da Lodi e Umberto da Basilica-Petri di Milano e Giovanni Teuponi da Feltre. Essendoci la peste a Belluno, questi emissari non vollero venire in città e quindi si ritrovarono tutti a St.Giustina dove le due famiglie si riappacificarono.
26 agosto 1398 Clemente Miari, autore del Chronicon, scrive che infuriando la peste a Belluno si trasferì a Conegliano fino al 19 gennaio 1399, in casa di Giovanni de Lera, insieme con il fratello Giovanni e sua moglie Giustina, Michele Miari e la serva Bona di Buscarello.

La peste, come il coronavirus, in breve tempo arrivò in tutta Europa e il nostro cronista Clemente riporta che nel mese di giugno del 1399 era sorta una Confraternita detta dei bianchi, così detti in quanto uomini e donne erano coperti di bianche tuniche con una croce rossa e un cappuccio, e che provenivano dall’Inghilterra e poi dalla Francia e ora dopo la Lombardia una parte di loro si diresse a Venezia, cantando, riporta Clemente:

Stabat mater dolosa
Juxta crucem lacrymosa
dum pendebat Filius
e concludeva
Misericordia, virgo pia
Pax, o Vergine Maria: (nota 1)
Non guardate al nostro errore

Molto probabilmente tutta questa gente in giro per l’Italia diffuse ancor più la peste e un cronista del tempo riporta:

“Ora sappi che la morìa per tutto questo paese è sì grandissima, per le città, castelle e ville, che non ci rimaneva persona; cascano le persone morte e inferme; non si trova chi li aiuti, chi fugge qua e chi là, è il maggior stupore mai si vedesse, non c’è rimedio niuno, i giovani, i fanciulli, vecchi e d’ogni generazione gente; Cristo ci aiuti”.

Invocazioni al Cristo e ai Santi, in particolare a San Rocco (1346-1379) come testimonia la Chiesa eretta in suo onore nel 1530 a Belluno come voto cittadino contro la peste, la crescita scaramantica di capelli, barba e baffi erano alcuni dei rimedi dei nostri antenati, contro la pandemia.
Eravamo convinti che calamità di questo tipo non si sarebbero più verificate nel nostro mondo, super civilizzato e tecnologico e ci riscopriamo fragili e spaventati.
Ma non siamo del tutto impotenti: possiamo resistere e combattere, seguire con responsabilità e fiducia quanto i medici consigliano. Bisogna stare in casa, non avere contatti, mantenere forza d’animo e spirito combattivo, come ci insegnano le vicende terribili che i nostri progenitori hanno dovuto affrontare.

Paolo Doglioni

Nota 1 – Forse: Misere, Virgo Pia

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