Già sei lauree e nessuna intenzione di fermarsi. Per Viviana Pongan, nata a Gosaldo nel 1957 e oggi residente a Mogliano, quella per lo studio è più di una passione. È quasi un amore, un impulso a tuffarsi sui libri ogni volta che un po’ di tempo libero glielo concede. Di lavoro ha sempre fatto la ragioniera (materia in cui si è diplomata), occupandosi di contabilità, bilanci e gestione del personale nell’azienda fondata con il fratello Vincenzo e un amico.
Numeri, cifre e dati sono stati per lungo tempo il suo pane quotidiano, fino a quando, a 53 anni, ha deciso di aggiungere alle sue giornate anche un companatico fino a quel momento lasciato da parte: gli studi umanistici. Nel 2011, continuando a lavorare, si è iscritta a Ca’ Foscari, conseguendo una prima laurea triennale in Conservazione e tutela dei beni artistici e culturali.
Si sa che l’appetito vien mangiando e infatti, dopo quel primo assaggio, la sua fame di conoscenza l’ha portata a divorare volumi su volumi, corsi su corsi, dispense su dispense, fino a conseguire – sempre parallelamente a un’impegnativa vita professionale – sei titoli accademici in tredici anni.
Oltre alla già citata triennale in Conservazione e tutela dei beni artistici e culturali, ecco aggiungersi le magistrali in Storia delle arti e dei beni culturali, Storia dal Medioevo all’Età contemporanea, Filologia e letteratura italiana, Antropologia culturale, etnografia e, lo scorso 16 ottobre, in Scienze archivistiche e biblioteconomiche. Basterebbe questo elenco a fare di Viviana una donna speciale.
Ma lei ha voluto – e saputo – aggiungerci la proverbiale ciliegina sulla torta, ottenendo in tutti e sei i percorsi il massimo dei voti, 110 e lode.
Socia dell’Abm da diverso tempo, Viviana ha anche dedicato all’emigrazione bellunese la sua tesi di laurea in Storia dal Medioevo all’Età contemporanea. L’elaborato si intitola “Vicine, lontane, mai sole. L’emigrazione dal Bellunese prima e dopo il 1966”, e la nostra sede ha avuto l’onore di una presentazione nel 2018.
«Lo studio mi ha salvata in tanti momenti difficili», ha commentato la pluridottoressa dopo l’ultimo traguardo tagliato. «Fin da giovanissima, mettevo da parte cento lire a settimana per acquistare libri. Ho imparato che non è mai troppo tardi per realizzare un sogno».
Nonostante un cammino da applausi, Viviana ha sempre tenuto i piedi per terra, conservando un’umiltà quasi d’altri tempi in quest’epoca in cui le apparenze – e i titoli (etichette da esibire) – spesso contano più della sostanza. «Ho sei lauree, ma non ne faccio un motivo di vanto. Non mi sento migliore di chi si è laureato all’università della vita. Non ho mai considerato colto o istruito chi sa tutto, ma chi sa dove andare a cercare le risposte alle proprie domande».
Il detto afferma che non c’è due senza tre. Per Viviana, a quanto pare, non c’è sei senza sette. È già decisa, infatti, a continuare.
«Mi piacerebbe proseguire gli studi a Ca’ Foscari con una facoltà che mi consenta di approfondire vari temi come il fenomeno delle migrazioni, l’accoglienza dei migranti, la loro integrazione e anche le problematiche che riguardano i fenomeni giovanili e i loro disagi. Sento l’esigenza di comprendere le sfide che governano queste complesse realtà».
Da parte di tutta l’Associazione Bellunesi nel Mondo, i più vivi complimenti e i migliori auguri per il futuro. Viviana Pongan è davvero un’eccellenza bellunese di cui andare fieri.
Entra nel vivo il concorso letterario “Raccontare l’emigrazione veneta”. Il 4 novembre era l’ultimo giorno utile per partecipare. Trentotto i lavori inviati, ora al vaglio della giuria che selezionerà i dieci finalisti.
Finalisti che verranno pubblicati in un libro edito dall’Associazione Bellunesi nel Mondo (Bellunesi nel mondo edizioni). I primi tre classificati riceveranno inoltre dei premi in denaro: 200 euro al terzo, 300 al secondo e 500 al primo.
Dopo il 25 novembre, sul sito www.bellunesinelmondo.it verranno resi noti i dieci racconti giunti in finale.
La graduatoria definitiva verrà poi annunciata nel corso della cerimonia di premiazione, in programma il 21 dicembre a Belluno (presso la sede dell’Abm, in via Cavour 3).
Pubblicato il nuovo bando del Premio “L’innovazione che parla italiano”, riconoscimento assegnato a start-up tecnologiche fondate da cittadini italiani e operanti all’estero.
Giunto alla sesta edizione, il premio è promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese) e da PNICube, associazione italiana degli incubatori universitari e delle business plan competition accademiche.
L’invito a presentare candidature è rivolto a soci fondatori di start-up che operino all’estero. Il premio, che consisterà in una medaglia e in un diploma del Ministero degli Affari Esteri, verrà conferito alla start-up vincitrice in occasione della prossima edizione della Conferenza degli Addetti Scientifici, che avrà luogo nel 2025.
I requisiti richiesti per partecipare sono: avere la cittadinanza italiana; essere in possesso di un titolo di studio di livello universitario; aver seguito almeno parte del proprio percorso di studi (universitari o post-universitari) in Italia; essere socio fondatore o co-fondatore di una start-up innovativa e con significativa caratterizzazione tecnologica, fondata da massimo cinque anni in un Paese estero.
Il termine ultimo per la presentazione delle domande è fissato al 7 gennaio 2025.
I motivi degli espatri in un report di Fondazione Nord-Est
È vero, non di solo pane vive l’uomo. Ma quando da soppesare ci sono da una parte stipendi più alti e maggiori opportunità professionali e dall’altra una buona qualità della vita e una ricca offerta culturale e artistica, i giovani italiani tendono a preferire il primo piatto della bilancia.
È quanto emerge, in estrema sintesi, da un’indagine realizzata dalla Fondazione Nord-Est in collaborazione con la Regione Veneto. L’obiettivo era provare a comprendere le dinamiche sottese alle partenze che ogni anno portano migliaia di connazionali a lasciare il Paese. L’analisi è recentemente sfociata in un libro intitolato “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero. Propensione e motivazione”.
I numeri della fuga Lo spunto da cui tutto ha avuto il via è l’osservazione dei dati: dal 2011 al 2021, 451mila italiani tra i 18 e i 34 anni hanno fatto le valige e si sono trasferiti all’estero. Qualcuno è rientrato, ma il saldo migratorio tra espatri e ritorni è risultato negativo per oltre 300mila persone (-317.042).
Il periodo della pandemia di Covid (biennio 2020-2021) ha visto un rallentamento dell’emigrazione giovanile, poi ripresa ai ritmi prepandemici. «Nel 2022 e nel 2023 – sottolinea la Fondazione – quasi 100mila giovani italiani hanno lasciato il Paese, mentre solo poco più di 37mila sono rientrati. Nel periodo 2011-23 (tredici anni) il totale delle cancellazioni anagrafiche per l’estero sale a 550mila, contro 172mila iscrizioni (rientri), per un saldo negativo di 378mila persone». Valori che andrebbero peraltro triplicati, vista la sistematica sottostima del fenomeno dovuta al fatto che spesso chi espatria non si iscrive all’Aire1 e continua a risultare residente in Italia.
Il rimpiazzo che non c’è Altro aspetto messo in luce dallo studio della Fondazione, focalizzandosi, su questo fronte, nel contesto del Nord Italia, è la difficoltà ad attrarre stranieri qualificati. Basta guardare i numeri degli “scambi” con le sei principali mete della nostra attuale emigrazione, Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Paesi Bassi: per ogni giovane cittadino di questi Paesi che sceglie di trasferirsi nel Nord Italia, più di sette giovani italiani residenti nel Settentrione fanno il percorso inverso. «In un mondo che parla di “caccia ai talenti” o di brain circulation – punta il dito il report – il Nord Italia, solitamente lodato per attrattività rispetto al Mezzogiorno, si presenta come una bottiglia senza tappo, orientata verso il basso. In dieci anni è infatti raddoppiata la quota di laureati sul totale di chi va via ed è aumentata di diciassette punti percentuali quella dei diplomati».
Non sufficiente a compensare lo svuotamento e la conseguente perdita di capitale umano l’immigrazione di giovani da Paesi extra Ue «per via del differente livello di istruzione».
Perché partono? Sulla base di queste premesse, il centro studi ha voluto scavare più a fondo nelle motivazioni che spingono i giovani ad andarsene dal Settentrione (l’area più ricca del Paese) ma anche in quelle che portano altri a rimanere. Per farlo ha messo in piedi una doppia indagine demoscopica (fatta di sondaggi, interviste mirate e focus group2), raccogliendo opinioni e valutazioni di persone tra i 18 e i 34 anni, da tutto il Nord, che hanno deciso di emigrare o che al contrario hanno scelto di restare. Il confronto tra le risposte fornite permette di farsi un’idea sul perché delle partenze.
Rispetto ai giovani rimasti, per esempio, chi è espatriato considera il proprio futuro più ricco di opportunità e maggiormente frutto del proprio impegno.
Tra chi non ha (ancora) fatto le valigie, un fattore che potrebbe far cambiare idea è la percezione di una mancanza di meritocrazia, unita alla carenza di occasioni di crescita professionale. Questi sono risultati gli aspetti che più spingerebbero coloro che vivono qui ad andarsene. Stesso discorso per l’apertura internazionale, giudicata scarsa. E così un giovane su tre residente nel Nord Italia immagina il proprio futuro prossimo, ossia in un orizzonte di tre anni, lontano dall’Italia, proprio perché il mondo al di fuori del nostro Paese viene visto come più ricco di opportunità di carriera.
Sono invece valutati positivamente da entrambi i gruppi la qualità della vita (soprattutto il servizio sanitario e il sistema universitario) e l’offerta culturale e artistica dell’Italia, tra i pochi elementi che invoglierebbero gli emigrati a un ritorno. Elementi tra i quali spicca su tutti la famiglia, spinta primaria a un eventuale viaggio di rientro. Eventuale, perché solo il 16% degli espatriati afferma di immaginarsi in Italia nei prossimi tre anni, «così creando nel Settentrione – il commento di Fondazione Nord-Est – un vuoto di capitale umano, potenziale innovativo, di crescita e di sviluppo economico e sociale difficilmente colmabile».
Risorse sprecate A questa perdita in termini di abilità e competenze va ad aggiungersi la dispersione di denaro che gli addii all’Italia da parte dei laureati comporta sul fronte degli investimenti in istruzione (pubblici e delle famiglie) compiuti fino al conseguimento del titolo universitario. Per il Veneto, ad esempio, l’ammontare è stimato in circa novecento milioni di euronel solo biennio 2021-2022. Cifra che sale a 12,5 miliardi considerando il periodo dal 2011 al 2023. Risorse andate a beneficio di altri Paesi capaci di valorizzare meglio i talenti che noi formiamo.
Venerdì 18 ottobre, presso l’Hotel Monte Bondone di Vaneze, in provincia di Trento, si terrà un appuntamento di rilievo per l’associazionismo italiano all’estero: l’Assemblea dell’UNAIE (Unione Nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati).
L’evento vedrà il rinnovo delle cariche sociali e sarà occasione di riflessione sui traguardi raggiunti e sulle sfide future.
Oscar De Bona, presidente uscente dell’UNAIE, rimarca la crescita dell’organizzazione negli ultimi anni, evidenziando come si siano affrontati temi di cruciale importanza per le comunità italiane all’estero.
Tra questi, la cittadinanza per i discendenti italiani e il cosiddetto “turismo delle radici”, che sta registrando un crescente interesse.
«Grazie al lavoro di squadra – la riflessione di De Bona – abbiamo creato nuove sinergie che stanno favorendo un forte ritorno d’interesse verso l’Italia, e siamo pronti a continuare su questa strada con il sostegno delle istituzioni e dell’Unione europea».
“Mobilità e migrazioni degli anziani italiani: tra aspetti culturali, politici e socioeconomici”.
È il titolo del progetto Age-it delle Università di Siena e Bologna per studiare le motivazioni che spingono gli anziani italiani a trasferirsi all’estero, le loro esperienze quotidiane, le difficoltà che affrontano nei Paesi ospitanti e il loro eventuale ritorno in patria.
Tra gli strumenti per portare avanti l’analisi, un questionario rivolto a persone di età superiore ai sessant’anni, sia uomini sia donne, che abbiano deciso di trasferirsi all’estero e vi risiedano da non più di quindici anni.
Il sondaggio è compilabile online. Una pagina Facebook dedicata contiene ulteriori informazioni.
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