A Longarone la 16a edizione del Premio Pelmo d’oro

da | 5 Lug 2013

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pelmo_doroIl monito del Vajont dà vigore al progetto del CAI “Montagnamica e Sicura”

La 16° edizione del Premio Pelmo d’oro cade in un 2013 ricco di ricorrenze importanti per la storia dell’alpinismo e della provincia di Belluno, ed è su queste ricorrenze che saranno imperniate anche le giornate evento dedicate a questa edizione: i 50 anni dalla tragedia del Vajont e i 150 anni dalla fondazione del Club Alpino Italiano. 

Partner dell’evento 2013 è il Comune di Longarone. Dopo l’ultima edizione nel Cadore di Tiziano,  il Pelmo scende lungo il Piave nel ricordo del 50° del Vajont e con incontri sulla montagna. Accolta da Roberto Padrin, Sindaco di Longarone, con la piena consapevolezza di offrire, idealmente, alla montagna e ai montanari, attraverso questa prestigiosa iniziativa, l’opportunità di raccogliere un “pezzo” di Vajont e portarlo sulle “creste” silenziose delle montagne, la cerimonia di consegna dei premi si terrà sabato 27 luglio 2013 dalle ore 10 nel Centro Culturale “F. Parri” di Longarone.

I premiati Pelmo d’oro 2013 (Venturino De Bona, Renato Panciera, Franco Solina, Walter Musizza, Giovanni De Donà) verranno presentati dal giornalista sportivo Giovanni Viel e saranno introdotti da brevi filmati curati da Italo Zandonella Callegher.

Torna per questa edizione anche il premio dedicato a Giuliano De Marchi, già componente della Giuria Pelmo d’oro, che quest’anno è assegnato all’Equipe Ambulatorio intitolato a suo nome, per l’impegno di uomini e donne che con il loro altruismo hanno reso grande la famiglia delle Dolomiti anche nel segno della solidarietà. Il premio consiste in un’erogazione all’Ambulatorio e l’opera pittorica “Avvolto dall’immenso del meriggio il Pelmo è tutto d’oro”, donata dall’artista bellunese Mario Battocchio.

Una menzione speciale andrà a Francesco Turrin, il Premio Speciale Pelmo d’oro 2013  al Club Alpino Italiano e il Premio Speciale della Provincia a Mario Fabbri che sarà premiato con l’opera di Dario Stragà “La montagna insegna” donata dal comune di Longarone.

Fondamentale l’apporto del Club Alpino Italiano, il cui prezioso sostegno garantisce per il 2013 il ripetersi della manifestazione che ha visto riconoscimenti ad alpinisti ed appassionati che, attraverso l’amore per la montagna, hanno contribuito in modo significativo alla conoscenza, valorizzazione e divulgazione delle Dolomiti bellunesi e del patrimonio naturalistico ed ambientale della provincia di Belluno. Il Premio Pelmo d’oro rientra infatti nel “Progetto Permanente del CAI per la prevenzione degli incidenti in montagna “Montagnamica e Sicura” (www.montagnamicaesicura.it) promuovendo l’incontro  anche con le Guide Alpine e il Soccorso Alpino. Altri importanti sostenitori degli eventi sono oltre al CAI Nazionale, il CAI Veneto e la locale sezione CAI di Longarone. Fondamentale infine il supporto di Grafiche Antiga di Crocetta del Montello. Infine anche quest’anno gli appassionati di filatelia potranno trovare sabato 27 luglio 2013 il consueto speciale annullo filatelico dedicato al Pelmocon diversi francobolli come quello realizzato per i 150 del CAI

Il Pelmo, che dal 1998 anno della sua istituzione, ha toccato molti dei principali centri della provincia, si pone così come esempio di buona pratica anche nel segno del riconoscimento Dolomiti Patrimonio dell’Umanità.

Organizzazione Premio Pelmo d’oro: 
Provincia di Belluno – tel. +39 0437 959144 mail@infodolomiti.it  www.infodolomiti.it 
Comune di Longarone – tel. +39 0437  575800 comune@longarone.net   www.longarone.net 

PREMIO “PELMO D’ORO” 2013

Componenti della Giuria della XVIa edizione del Premio “Pelmo d’oro”: Vittorio Capocelli, Commissario straordinario della Provincia di Belluno; Roberto De Martin past Presidente del Club Alpino Italiano e del Club Arc Alpin; Alessandro Masucci, Accademico del CAI e co-fondatore di Mountain Wilderness; Italo Zandonella Callegher, Accademico e Socio Onorario del CAI; Cesare Lasen membro del Comitato Scientifico e della Fondazione Dolomiti Unesco; Loris Santomaso già direttore-responsabile della rivista Le Dolomiti Bellunesi, Paolo Conz aspirante Guida Alpina, istruttore regionale e tecnico del Soccorso alpino, Giuseppe Casagrande, Guida Alpina ad honorem e promotore della cultura di montagna.

La Giuria ha così attribuito i riconoscimenti dell’anno 2013 per la valorizzazione alpina e alpinistica delle Dolomiti Bellunesi.

La Giuria assegna il Premio “Pelmo d’oro” 2013 al

Club Alpino Italiano (1863-2013)

“…libera associazione nazionale che ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale…”. Fedele alle decisioni statuarie di 150 anni fa, ha contribuito in maniera sistematica all’amore sempre più consapevole per le Dolomiti Bellunesi. Con azioni convergenti: già nell’800 nascita delle prime sezioni (Agordo 1868, Auronzo in origine denominata Cadorina 1874, Belluno 1891); nel primo ‘900 promozione di opere alpine e rifugi anche su impulso di sezioni cittadine; a fine ‘900 ruolo significativo per la nascita del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi; sostegno e riferimento per alpinisti bellunesi noti nel mondo degli 8000 come Lino Lacedelli, Giuliano De Marchi e Soro Dorotei.

La Giuria assegna il Premio “Pelmo d’oro” 2013 per l’alpinismo in attività a

Venturino De Bona e Renato Panciera

Venturino De Bona:

Venturino De Bona_ pelmoForte arrampicatore sportivo, scopritore e valorizzatore di numerose falesie nella valle della Piave, gestore del rifugio Torrani, vero nido d’aquila, trasporta nelle amate montagne di casa le proprie abilità, in un alpinismo di ricerca dove la logicità dell’itinerario è unita sovente ad elevatissime difficoltà e ad una severa etica di apertura.

Renato Panciera:

Renato PancieraAlpinista di  valore ha contribuito a introdurre l’arrampicata moderna nella valle di Zoldo e limitrofe, con l’apertura di numerose vie nuove (80), alcune delle quali tra le più difficili mai realizzate senza l’uso di spit. Inaugura la pratica dell’alpinismo invernale veloce in Dolomiti, con un’etica che prevede il superamento della via in giornata e in libera. Assieme a Mauro Valmassoi il 27 dicembre 1988 percorre il Diedro Philipp Flamm, sulla parete Nord Ovest della Civetta: un capolavoro che rimarrà nella storia dell’alpinismo invernale dolomitico.

La Giuria assegna il Premio “Pelmo d’oro” 2013 per la carriera alpinistica a

Franco Solina

Franco SolinaAlpinista accademico del CAI, giornalista, fotografo e scrittore, fra i protagonisti, nel 1962, della prima ascensione italiana alla Nord dell’Eiger, ha realizzato sulle Dolomiti Bellunesi, in una formidabile cordata con Armando Aste, imprese memorabili in Marmolada (con il capolavoro della via dell’Ideale nel 1964), Civetta, Focobón, Agnèr e Lavaredo, portando l’alpinismo classico ai massimi livelli e anticipando di vent’anni l’evoluzione dell’arrampicata.

La Giuria assegna il Premio “Pelmo d’oro” 2013 per la cultura alpina a

Walter Musizza e Giovanni De Donà

Walter MusizzaStudiosi di storia cadorina, autori di saggi e ricerche che spaziano dai singoli frammenti della microstoria locale ai grandi eventi che hanno varcato i confini nazionali. Ma soprattutto cronisti autentici della gente della montagna con la sua storia e le sue storie. Nell’ultimo quarto di secolo hanno comunicato e promosso la storia delle Dolomiti Bellunesi attraverso una serie infinita di pubblicazioni, saggi, articoli e Giovanni De Donàdocumentari. Un’attenzione particolare del loro impegno è stato rivolto alle vicende belliche che hanno travagliato le Dolomiti. 

La Giunta Provinciale, sentito il parere della Giuria, assegna il Premio Speciale Pelmo d’oro 2013 a

Mario Fabbri

Mario FabbriMario Fabbri è stato il giudice istruttore nell’inchiesta penale relativa alla tragedia del Vajont. Con il suo scrupoloso lavoro riuscì a far luce su uno dei capitoli più oscuri ed intricati della storia italiana. All’ex magistrato Mario Fabbri va riconosciuto l’ardire della sentenza che, oltre all’aspetto giuridico in sé, contiene pregevoli elementi di carattere scientifico e culturale, intersecando per la prima volta termini come protezione civile, attenzione ambientale e  territorio da tutelare evidenziando una mirabile conoscenza del territorio bellunese, montano e dolomitico.

La Giuria attribuisce la Menzione Speciale Pelmo d’oro 2013 a

Francesco Turrin

Francesco TurrinIn veste di dipendente del Corpo Forestale dello Stato, animato da grande passione per la conoscenza del territorio montano e consapevole dei delicati equilibri che caratterizzano i rapporti tra l’uomo e la Natura, si è prodigato, in silenzio e con discrezione, ad accompagnare migliaia di ragazzi in età scolare, investendo le sue energie in un settore, quello dell’educazione ambientale, nel quale, troppo spesso, si vede più fumo che arrosto.

La Giuria attribuisce il Premio Speciale 2013 “Giuliano De Marchi” all’Equipe Ambulatorio Giuliano De Marchi

Per aver dato vita in Nepal ad un progetto di presidio medico del quale Fausto De Stefani e Giuliano De Marchi avevano condiviso l’idea e che attualmente garantisce assistenza a oltre milleduecento minori, alle loro famiglie e ad indigenti di un territorio privo di strutture sanitarie pubbliche.

IL PREMIO SPECIALE GIULIANO DE MARCHI

Nell’ambito del Premio Pelmo d’Oro, istituito dalla Provincia di Belluno nel 1998, per il riconoscimento a persone  fisiche, enti pubblici e privati di particolari meriti acquisiti nell’ambito dell’alpinismo e della solidarietà alpina, della conoscenza e promozione della cultura, della  storia e delle tradizioni delle genti di montagna, l’Amministrazione Provinciale ha istituito nel 2010 il PREMIO SPECIALE “GIULIANO DE MARCHI”, medico, alpinista, accademico del CAI, componente della Commissione medica del CAI, volontario del Soccorso Alpino, socio fondatore di Mountain Wilderness, già insignito del Premio Pelmo d’oro all’Alpinismo in attività nel 2005, componente della giuria del premio dal 2006,  caduto sul monte Antelao il 5 giugno 2009.

Giuliano De Marchi è stato soprattutto un uomo, che ha saputo ascoltare la montagna cogliendone i valori di rispetto solidarietà e abnegazione; che ha vissuto con passione le bellezze e le forme della natura; che ha amato le espressioni artistiche dell’uomo; che ha aspirato in alto, mettendo alla prova i propri limiti,  mantenendo però, curiosità e gioia nelle cose di tutti i giorni, trovando la grandezza del piccolo; che ha saputo essere serenamente e apertamente se stesso, coerente, diretto e disinteressato, di fronte a tutti; ha praticato l’alpinismo sulle montagne del mondo in silenziosa umiltà rendendosi protagonista di grandi imprese e praticando i valori della solidarietà alpina, dell’amore per la natura, la montagna e le sue genti, continuando con passione e dedizione la professione medica.

  1. Nel 2010, 2011 e 2013 la Giuria Premio Pelmo d’oro ha assegnato il PREMIO SPECIALE “GIULIANO DE MARCHI”, dedicato alle donne e agli uomini che con particolare impegno, dedizione e passione sono stati testimoni dei valori universali delle genti di montagna, portando un contributo originale e rilevante alla loro conoscenza, conservazione e valorizzazione.

EQUIPE AMBULATORIO GIULIANO DE MARCHI

Kirtipur (Nepal), 2012

 Pelmo d’oro 2013

Premio speciale Giuliano De Marchi

Per aver dato vita in Nepal ad un progetto di presidio medico del quale Fausto De Stefani e Giuliano De Marchi avevano condiviso l’idea e che attualmente garantisce assistenza a oltre milleduecento minori, alle loro famiglie e ad indigenti di un territorio privo di strutture sanitarie pubbliche.

Doveva esserci anche Giuliano De Marchi, oggi e in futuro, a donare tempo ed esperienza professionale in quella struttura che ora porta il suo nome a Kirtipur, periferia di Kathmandu, Nepal centrale. Con Simonetta Civran, con il medico ortopedico Mauro Ciotti e il direttore di ospedale e di distretto sanitario Sandro De Col, il medico di famiglia Elke Fuller, la farmacista di ospedale Antonella Garna, il medico pediatra Paolo Grosso, l’infermiera Cristina Marangone, il medico infettivo Valeria Mondardini, il medico pediatra Daniel Nardo, il medico di famiglia Alberto Simiele e quanti altri, specialisti e non, hanno voluto essere coinvolti in un progetto sognato nella primavera del 2009, avviato nel giugno del 2010, divenuto realtà operativa nell’agosto del 2012.

Racconta Simonetta Civran, compagna di vita e di valori di Giuliano: «L’ambulatorio è nato da un’idea di Fausto De Stefani quando, dopo aver salito tutti i 14 Ottomila ed aver costruito a Kirtipur la Rarahil Memorial School, propose a Giuliano, amico e compagno di cordata, di realizzare una struttura sanitaria che potesse aiutare le popolazioni povere del Nepal, cui erano entrambi molto affezionati. Giuliano diede subito la sua disponibilità, ma il destino non ha voluto così».

Il destino ha voluto che la vita di Giuliano, che nel 1991 aveva rinunciato alla vetta dell’Everest per consentire a Fausto di vivere, si chiudesse tragicamente il 5 giugno del 2009 in una salita solitaria  all’Antelao. Così il progetto è andato avanti senza di lui, in sua memoria, sospinto particolarmente da Fausto De Stefani ed Elio Mutti.

È dal 2004 che la Fondazione Senza Frontiere Onlus è impegnata in Nepal sul fronte dello sviluppo scolastico a favore dei bambini più poveri, obiettivo al quale adesso si affianca l’assistenza sanitaria fornita, in collaborazione con il Model Hospital di Kathmandu, dal presidio medico realizzato accanto alla Rarahil Memorial School di Kirtipur. Complesso, quest’ultimo, costituito da tre scuole – dalle elementari alle professionali, con convitto e mensa – interamente costruito con maestranze e materiali nepalesi, gestito da personale locale, che offre istruzione e ristoro a 900 ragazzi, costituendo una realtà fondamentale per l’educazione e la crescita sociale di una vasta comunità. È costato ben più di un milione di euro, somma raccolta negli anni attraverso finanziamenti di privati, donazioni, serate di sensibilizzazione che hanno avuto sistematicamente in Fausto De Stefani il principale protagonista e animatore.

L’ADM ha dimostrato nel primo anno di attività una potenzialità ancora superiore a quella prevista, potendo così garantire assistenza sanitaria anche ad altri 500 bambini di altre Scuole di Kirtipur.

Ora si vuole che l’ambulatorio Giuliano De Marchi, sorto con il contributo economico di molti, avviato con l’impegno di medici volontari italiani che si alternano nella struttura collaborando con il personale sanitario nepalese, diventi completamente “cosa loro”: che la comunità locale possa prenderlo in mano autonomamente. È una struttura che, contando sulla presenza costante di un medico e un infermiere,  può sostenersi con diecimila euro all’anno. Certo non mancheranno da parte bellunese e italiana attenzione, collaborazione, assistenza. Ma l’idea di base, come per tutto ciò che la Fondazione Senza Frontiere è riuscita a realizzare finora in Nepal è: niente progetti calati dall’alto di una presunta superiorità di stampo occidentale. Per contro, opere che efficacemente si integrino nell’economia e nella cultura della comunità per la quale sono state pensate.

COMPONENTI DEL GRUPPO DI LAVORO “AMBULATORIO DE MARCHI”

  • Ciotti Mauro; medico ortopedico
  • Civran Simonetta
  • De Col Sandro; direttore di Ospedale e di Distretto sanitario
  • Fuller Elke; medico di famiglia
  • Garna Antonella; farmacista dell’ospedale
  • Grosso Paolo; medico pediatra
  • Marangone Cristina; infermiera
  • Mondardini Valeria; medico infettivo logo
  • Nardo Daniel; medico pediatra
  • Simiele Alberto; medico di famiglia

OBIETTIVI GRUPPO DI LAVORO 

  • Collaborare con Istituzioni e personale locale per la gestione di un presidio sanitario che risponda, nel rispetto della cultura nepalese, a esigenze di salute alle quali attualmente non c’è risposta.
  • Dare accesso alla cura della salute anche alla popolazione più povera.
  • Operare affinché l’Ambulatorio De Marchi, modificando alcuni comportamenti igienici presso i giovani, riesca a incidere sulla salute di una più vasta comunità che comprende le famiglie.
  • Consolidare i collegamenti con l’ospedale locale.

MODALITA’ OPERATIVE DEL GRUPPO DI LAVORO “AMBULATORIO DE MARCHI”

Impostazione e organizzazione iniziale dell’attività ambulatoriale e collegamento con le realtà sanitarie locali; affiancamento periodico con il personale locale; controllo della gestione e del mantenimento di standard elevati di igiene, pulizia e qualità di intervento; contatti con altre realtà sanitarie locali e valutazione di eventuali altri interventi necessari e sostenibili con le forze umane ed economiche dell’Ambulatorio De Marchi.

VENTURINO DE BONA

Longarone, 1964

Premio Pelmo d’oro 2013 per l’alpinismo in attività

Forte arrampicatore sportivo, scopritore e valorizzatore di numerose falesie nella valle della Piave, gestore del rifugio Torrani, vero nido d’aquila, trasporta nelle amate montagne di casa le proprie abilità, in un alpinismo di ricerca dove la logicità dell’itinerario è unita sovente ad elevatissime difficoltà e ad una severa etica di apertura.

Per chi arriva in Pian di Tenda, ai quasi tremila metri del “Torrani”, ultimo fondamentale avamposto della Civetta realizzato nel 1938 dalla Sezione Cai di Conegliano, Venturino De Bona è né più né meno che “il Ventura”. Gestore di  rifugio cordiale e riservato, consigliere prezioso e discreto, riconosciuto e generoso depositario di esperienze e di saperi della Grande Parete. In estate, da parecchi anni, lo trovi quassù; nelle altre stagioni è in qualche angolo di mondo o a far legna nel bosco. Per dirla con Gianni Gianeselli, Pelmo d’oro 2009, è «un grande, uno che non se la tira, ha anche detto no all’Accademico».

Venturino De Bona comincia ad arrampicare nel 1986, vocazione non proprio verde se paragonata ad altre carriere alpinistiche. All’inizio si cimenta con la falesia di Igne, sulle tracce e a prosecuzione del lavoro di esplorazione e messa in sicurezza svolto da solidi ragazzi del luogo e soprattutto da Gigi Dal Pozzo. Negli anni successivi scoprirà e proporrà al colorato mondo dei climbers l’appartata falesia di Socchèr e, insieme a Dal Pozzo, quella ancor più defilata di Caiada.

All’attività in falesia si aggiungono presto le ripetizioni delle grandi vie di  montagna. Tra queste:  Attraverso il pesce, Fram, Variante Italia, Andromeda in Marmolada; la Carlesso alla Torre di Valgrande e il diedro Philipp-Flamm in Civetta.

Ma altre sono le aspirazioni. Esaurita la robusta fase di apprendistato sulle classiche più impegnative e su itinerari moderni di crescente difficoltà, è all’individuazione di nuovi itinerari che si  rivolge l’interesse di De Bona.

Tra il 1992 e il 2001 apre una cinquantina di nuove vie, tutte di estrema difficoltà. Dal lungo sodalizio con Gigi Dal Pozzo (Pelmo d’oro 2008, uno dei grandissimi che se n’è andato troppo presto) nascono Andamento lento in Val Scura (anche con Maurizio Fontana), Piccola perla sul Sasso di Tovanella; quattro vie nell’Agnèr: Filtro magico sullo Spiz Sud, Cenerentola sul Becco d’aquila, Wody Wood Peker e Peperoncino alla canfora sulla Sud; tre sulla Ovest del Mulàz: Magia nera, Riporta a casa Lassie, Sbalzo termico.

Ed è la stagione di tante altre grandi vie disegnate nel Boè, in Moiazza, nel Bosconero, in Civetta.

Poi, 11-13 settembre 1999, dopo anni di tentativi respinti dal maltempo, Nuvole Barocche con Piero Bez (Nord Ovest Civetta, 1.240 m, IX + A2), grandioso itinerario che dovrà attendere il 2007 per la prima ripetizione firmata da Alessandro Baù («una delle avventure alpinistiche più belle che abbia mai vissuto») e Alessandro Beber.

Infine, nell’estate del 2001, ancora nella Nord Ovest della Civetta, W Mejico cabrones in solitaria (1.150m, VIII), “un vione” che vedrà di nuovo Baù (con Enrico Marini) come primo ripetitore nel 2005.

Non a caso nel settembre dell’anno scorso Alessandro Baù, fresco Pelmo d’oro 2012, dopo aver definitivamente liberato con Beber e Nicola Tondini Colonne d’Ercole alla Punta Tissi (1.200 m, difficoltà fino al IX, chiodi normali) ha voluto dedicare la via a Venturino De Bona, Walter Bellenzier e Renato De Zordo “mitici gestori dei rifugi Torrani, Tissi e Coldai” sottolineando: «Se la Nord Ovest è un ambiente stupendo è anche merito loro».

RENATO PANCIERA

Forno di Zoldo, 1952

Premio Pelmo d’oro 2013 per l’alpinismo in attività

Alpinista di grande valore ha contribuito a introdurre l’arrampicata moderna nella valle di Zoldo e limitrofe, con l’apertura di numerose vie nuove (80), alcune delle quali tra le più difficili mai realizzate senza  l’uso di spit. Inaugura la pratica dell’alpinismo invernale veloce in Dolomiti, con un’etica che prevede il superamento della via in giornata e in libera. Insieme a Mauro Valmassoi  il 27 dicembre 1988 percorre il Diedro Philipp Flamm, sulla parete Nord Ovest della Civetta: un capolavoro che rimarrà nella storia dell’alpinismo invernale dolomitico.

Ragionava di evoluzione e di etica dell’alpinismo, Renato Panciera, in una riflessione dal titolo “Cosa tolgo dallo zaino” che a suo tempo non passò inosservata (Le Dolomiti Bellunesi, Natale 2000). «Ora che sto tirando i remi in barca – scriveva – sento di dover scolpire una piccola stele per non lasciar andar perduta un’esperienza che ritengo essere significativa». E spiegava: «Vorrei tentare di dare voce e motivazione ad una visione alpinistica nell’affrontare le pareti in inverno, visione della quale io rivendico la paternità, almeno in Dolomiti: salite in giornata e in libera, a nord, su vie lunghe, con le scarpette e pochissimo materiale, nessuna preparazione della parete, niente contatto radio». Aggiungeva: «Ho constatato come l’impegno profuso a recuperare lo zaino superi spesso quello necessario a salire. Mi sono sempre rifiutato di pensare che recuperare lo zaino sia alpinismo (…) qualora sia possibile alleggerirlo. (…) Nel preparare lo zaino si giudicano indispensabili troppe cose». E, tanto per cominciare, Renato Panciera dal suo zaino ha tolto gli spit.

Nel 1981, con la prima ascensione diretta della parete ovest dello Spiz Nord nel gruppo Mezzodì/Pramper intitolata a Nico Brustolon , inizia l’attività di esplorazione alla ricerca di nuovi itinerari sempre più difficili un po’ dappertutto sui monti di casa, dal Pilastro centrale sul versante sud del Pelmetto (1984) con Anna Sommavilla, alla Ovest della Torre Venezia (1988)  con Gigi Dal Pozzo, senza trascurare Bosconero, Mezzodì e Tamer.

Nel frattempo si è fatto una significativa esperienza legandosi in cordata dal 1980, non giovanissimo, con Soro Dorotei con il quale realizza alcune prime invernali: in Civetta la via delle Guide alla Torre di Valgrande (1981), la via Ratti Vitali alla Su Alto (1982); in Pelmo, anche con Giuliano De Marchi, il Pilastro Fiume (1983). Tra le altre invernali la via degli Scoiattoli al Pilastro Nord Ovest della Rocchetta Alta di Bosconero (1987) con Ferruccio Svaluto Moreolo, e, stesso versante, la via Dorotei-Masucci (1988)  con Svaluto Moreolo e Mauro Valmassoi. E poi, dicembre 1988, il sigillo: Diedro Philip-Flamm in giornata con Valmassoi.

Negli anni della maturità alpinistica, perfezionando l’applicazione delle metodiche dell’arrampicata sportiva a pareti di grande respiro: Nord Ovest della Civetta (1995) via in memoria di Eliana De Zordo e Paolo Crippa assieme a Mauro Valmassoi (VIII-IX), Nord Ovest Rocchetta Alta di Bosconero (1992) con Giampaolo Gagliazzo (VIII+); Nord Ovest del Corno del Doge con Valmassoi e Giovanni De Biasi (due vie VIII-IX); Ovest della Torre Armena (1997-1998) tre vie con Gagliazzo; Est della cima principale della Civetta (estate 2005) via Gregor Scorec con Gigi Dal Pozzo, Maurizio Fontana, Thomas Vassos (VIII).

Associato al CAAI dal 2011, Renato Panciera è fino ad oggi l’unico Accademico zoldano di nascita e residenza. Come Edmund Hillary, primo salitore dell’Everest, si è specializzato con successo nella affascinante scienza dell’apicoltura. Passione elevata a professione. È nella stagione fredda, quando le api riposano, che è più facile trovare il tempo per andare in  montagna. E così Panciera ha trasferito alle scalate invernali le metodiche della arrampicata estiva.

FRANCO SOLINA

Mompiano (BS), 1932

Premio Pelmo d’oro 2013 per la carriera alpinistica

Alpinista accademico del CAI, giornalista, fotografo e scrittore, fra i protagonisti, nel 1962, della prima ascensione italiana alla Nord dell’Eiger, ha realizzato sulle Dolomiti Bellunesi, in una formidabile cordata con Armando Aste, imprese memorabili in Marmolada (con il capolavoro della via dell’Ideale nel 1964), Civetta, Focobón, Agnèr e Lavaredo, portando l’alpinismo classico ai massimi livelli e anticipando di vent’anni l’evoluzione dell’arrampicata.

Avviamento industriale, primo lavoro aiutante muratore, poi apprendista in fabbrica, infine per 27 anni alla Iveco di Brescia. Presto in montagna: da ragazzo nei campeggi estivi parrocchiali, quindi con la Scuola di alpinismo della Società escursionisti bresciani “Ugolino Ugolini” dove entra in contatto con il mondo dell’arrampicata in Adamello e Brenta. Acquisirà in seguito la qualifica di istruttore e dirigerà per qualche lustro la “Ugolini”.

Nel 1954 la prima via nuova di Franco Solina con Lorenzo Gelmi sul Gemello Meridionale del Tredenus in Adamello. In quegli anni con i compagni della “Ugolini” ripete numerose vie classiche in Brenta fra le quali la Preuss e lo Spigolo Fox al Campanile Basso, la Rovereto sullo Spallone Basso, la via delle Guide sul Crozzon, il Gran Diedro della Brenta Alta, la Est della Tosa, la via della Concordia alla Cima d’Ambiéz, la Aste-Susatti sulla Est della Pratofiorito, la Steger sul Croz dell’Altissimo. L’interesse si estende ad altri gruppi dolomitici: Pale di San Martino, Lavaredo (la Hasse-Brandler sulla Nord della Cima Grande, lo Spigolo Giallo, la Preuss alla Piccolissima), Civetta, Cinque Dita, Odle, Catinaccio (via Maestri alla Rosa di Vaèl), Torri di Sella e del Vaiolet.

Nel 1957 di nuovo in Brenta, rifugio Agostini, l’incontro con Armando Aste, con il quale Franco Solina formerà una cordata eccezionale, protagonista di imprese straordinarie in Dolomiti e altrove.

Nel 1958 tracciano la direttissima sulla Nord della Punta Chiggiato del Focobòn, Pale di San Martino, che non verrà ripetuta per quasi vent’anni. Nel 1959 sul Piz Serauta, in Marmolada, bloccati per tre giorni in parete dal maltempo, dopo cinque bivacchi aprono la via della Madonna Assunta. Nel 1960 aprono con Josve Aiazzi un nuovo itinerario sullo Spigolo Nord Ovest dello Spiz d’Agnèr Nord e lo dedicano a Fausto Susatti. Nel 1961 ancora sullo Spiz d’Agnèr Nord, con Angelo Miorandi, tracciano una nuova via sullo Spigolo Nord Est dedicata ad Andrea Oggioni.

Il 1962 è l’anno della prima ascensione italiana della Nord dell’Eiger, dopo di che tracciano la Città di Brescia sulla parete ovest della Cima Tosa.

Nel 1964, dal 24 al 29 agosto, il capolavoro di Aste-Solina sulla Sud della Marmolada d’Ombretta: la via dell’Ideale (900 metri, 154 chiodi, 5 cunei, 14 chiodi a pressione; nel libro del rifugio Falier il commento di Aste: “La più grande e bella salita di pura roccia delle Alpi”). Nel 1965 la via della Canna d’Organo alla Punta Rocca sulla Sud della Marmolada, in sei giorni e senza chiodi a pressione, che anticipa di un paio di decenni l’evoluzione dell’arrampicata.

Accademico del CAI dal 1961, Franco Solina ha partecipato a spedizioni nel gruppo del Paine e del Fitz Roy nelle Ande patagoniche, in Himalaya al Makalu, in Perù sulla Cordillera Blanca, in Marocco sull’Alto Atlante e in Groenlandia dove ha raggiunto una decina di cime vergini.

Giornalista pubblicista, collabora da decenni con Il Giornale di Brescia e con altri periodici scrivendo di alpinismo, ambiente, problematiche della montagna, argomenti dei quali è brillante espositore anche in conferenze e dibattiti . Apprezzato fotografo, ha partecipato a mostre collettive e personali con notevoli riscontri di critica e di pubblico. È autore di guide escursionistiche e di libri fotografici.

Nel 1977 è stato insignito dell’Ordine del Cardo per la solidarietà. Nel 2003 gli è stato conferito a Falcade (Belluno) il premio De Dolomieu “per il suo prezioso contributo a far conoscere, amare e rispettare la montagna”.

È sposato con Luciana Costi, ha due figlie: Chiara e Giuliana.

WALTER MUSIZZA

Trieste, 1951

GIOVANNI DE DONà

Vigo di Cadore (BL), 1957

 Premio Pelmo d’oro 2013 per la cultura alpina

Studiosi di storia cadorina, autori di saggi e ricerche che spaziano dai singoli frammenti della microstoria locale ai grandi eventi che hanno varcato i confini nazionali. Ma soprattutto cronisti autentici della gente della montagna con la sua storia e le sue storie. Nell’ultimo quarto di secolo hanno comunicato e promosso la storia delle Dolomiti Bellunesi attraverso una serie infinita di pubblicazioni, saggi, articoli e documentari. Un’attenzione particolare del loro impegno è stato rivolto alle vicende belliche che hanno travagliato le Dolomiti. 

Docente a Gorizia Walter Musizza, tecnico di occhialeria in Cadore Giovanni De Donà, da cinque lustri compongono un team che ha prodotto e pubblicato uno straordinario campionario di saggi, ricerche, approfondimenti storici su Cadore e dintorni.

Qualche titolo: Le fortificazioni del Cadore in 4 volumi (1985-90), Strade e sentieri di guerra in Cadore, Ampezzano e Comelico (1988), Appunti storici sui Pievani di Vigo (1991), Baion, una casera, un rifugio (1992), Carducci e il Cadore (1992), Nel Cadore con don Bosco (1992), Cridola 1944-45 (1996), Lorenzago nell’anno dell’invasione 1917-18 (1997), L’Oltrepiave nel Risorgimento nazionale 1848 (1998), Alpini ed Artiglieri in Cadore (1998), Dalle Dolomiti al Grappa – La ritirata della IV Armata dal Cadore (1999), S. Antonio Abate di Laggio 1454-2000, storia di una chiesa, di un Capitolo, di un paese  (2000), 1848 – Una breve primavera di libertà (2000), Il Gruppo Alpini di Lozzo di Cadore 1938-2000 (2001), Ali di guerra sulle Dolomiti (2002),  Margherita una Regina sulle Dolomiti (2002), Alpini cadorini sul fronte greco-albanese (2003), Caro vecchio paese (2003), Il compagno Ludi – autobiografia di un partigiano sudtirolese (2005), Gente d’Oltrepiave (2005), Guerra e Resistenza in Cadore 1943-1945 (2005), La montagna veneta nelle panoramiche della Grande Guerra (2006), Personaggi e storie di Cadore e Ampezzo (2007), Dolomites (2009) (coautori).

Inoltre, tra il 1989 e il 2007, documentari televisivi, in particolare sulle fortificazioni del Cadore nella prima e seconda guerra mondiale, per la cui valorizzazione storica e turistica Musizza e De Donà si battono su testate locali e periodici nazionali.

Hanno collaborato a programmi europei per la catalogazione delle opere militari della Grande Guerra in Cadore. Per il Comune di Vigo hanno realizzato l’Itinerario storico del Monte Tudaio. Sono stati membri del Comitato scientifico del Progetto Interreg III Italia-Austria 2000-2006 I luoghi della Grande Guerra in Provincia di Belluno, interventi di recupero e  valorizzazione del Parco della Memoria (2001) e del Progetto Il Museo diffuso del Grappa dal Brenta al Piave per l’allestimento delle mostre e cataloghi Aquile e Leoni, La montagna veneta nelle foto panoramiche della Grande Guerra, Operazione Walkiria, l’epilogo cadorino, 1945.  Nel 2011 nell’ambito delle celebrazioni per il 150° dell’unità nazionale hanno curato le mostre I paesaggi della memoria e Cadore, un’ode per l’Italia, a Pieve ed Auronzo di Cadore. Hanno ideato e realizzato il Museo all’aperto della Grande Guerra di Col Ciampon sopra Vigo di Cadore, recuperato le trincee di Casera Razzo del 1917, ridato vita alla vecchia fontana di Antoia del 1940, collocato le croci a ricordo dei caduti del novembre 1917 a Col Pioi e Casera Razzo, gemellando Domegge con San Teodoro in Gallura nel ricordo del bersagliere Giuseppe De Candia.

Collaborano con l’ANPI e i Comuni tenendo lezioni nelle scuole o sui luoghi che furono teatro dei moti risorgimentali del 1848, della Grande Guerra e della Resistenza. Soci fondatori del Gruppo archeologico cadorino, hanno segnalato per primi nel marzo 2012 il castrum romano di Passo Monte Croce Comelico. Ulteriori loro scoperte sono il castellum romano di Col Palotto sopra Vigo e il sito archeologico dell’età del ferro di Col Ciampon.

FRANCESCO TURRIN

Feltre, 1962

Premio Pelmo d’oro 2013 Menzione speciale

In veste di dipendente del Corpo forestale dello Stato, animato da grande passione per la conoscenza del territorio montano e consapevole dei delicati equilibri che caratterizzano i rapporti tra l’uomo e la Natura, si è prodigato in silenzio e con discrezione, ad accompagnare migliaia di ragazzi in età scolare, investendo le sue energie in un settore, quello dell’educazione ambientale, nel quale, troppo spesso, si vede più fumo che arrosto.

Nel 2010 l’attestato dei Comitati FISI del Veneto e di Venezia per aver contribuito “in modo significativo a diffondere le conoscenze e le regole per frequentare in sicurezza la montagna innevata e le piste da sci”. Nel 2011 il riconoscimento del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ufficio scolastico per il Veneto “per la capacità didattica e l’elevata competenza tecnica-scientifica dimostrata nel Progetto La montagna in sicurezza svolto con straordinaria passione ed efficacia nelle varie scuole della provincia di Venezia”. L’anno scorso, nel giorno del raduno triveneto degli alpini in congedo, il Premio “La penna alpina per la nostra montagna” della Sezione Ana di Feltre “per l’importante, meritoria e costante opera di competente trasmettitore dei migliori valori di rispetto della natura e della vita che, da Sovrintendente del Corpo Forestale dello Stato, esercita con passione e tenacia anche oltre i doveri d’istituto”. Quasi una missione quella che Francesco Turrin si è assegnato rinunciando all’avviata attività di famiglia per amore della montagna

Primi anni di servizio in Piemonte, alla fine dell’Ottanta rientro in Veneto e trasferimento nella Riserva naturale di Celarda dove svolge prioritario servizio di accompagnamento scolaresche e gruppi nel Vincheto e nelle Riserve naturali alpine dello Stato (ora territorio del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi). Con l’istituzione dell’Ente Parco si trasferisce nel Comando stazione forestale di Pian d’Avena. Costretto da un infortunio a ridurre l’attività istituzionale in ambiente alpino, riversa esperienza ed energie nel campo dell’educazione.

Dal 2003, responsabile dell’Ufficio ambientale del CFS – Coordinamento territoriale per l’ambiente del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi, crea propri progetti educativi. Tra i più noti, semplificando: Il segno dell’uomo nella montagna bellunesi, Gli incendi boschivi, Acqua quale fonte di vita, La natura vista da un forestale, Dalla natura… grandi e piccoli amici da rispettare. Dedica tempo e attenzione al sociale con interventi in case di riposo, nel reparto pediatrico e all’Università adulti-anziani di Feltre.

Nel 2006 si propone al Servizio Meteomont del CFS di Auronzo e diventa referente veneto del Progetto La montagna in sicurezza sul quale trasferisce la ventennale esperienza in campo ambientale-naturalistico e la passione per la neve trasformandolo in una concreta realtà di divulgazione scientifica e di informazione del territorio bellunese e veneto, con articolata attività didattica in istituti scolastici, serate ed incontri pubblici richiesti da associazioni, club, amministrazioni comunali nelle Province di Belluno, Trento, Treviso e Venezia, e con importanti riscontri di stampa e nel programma radiofonico nazionale “News generation” di Radio Rai Uno. Nell’anno scolastico 2011-12 riesce a far inserire il Progetto nella vasta iniziativa Una lezione di vita – educazione alla sicurezza a 360° che coinvolge le scuole di Mestre, San Donà di Piave, Cinto Caomaggiore, Dolo e Jesolo.

Dal gennaio 2012, in servizio al Posto fisso di Palus San Marco di Auronzo di Cadore, svolge attività di guida naturalistico-ambientale nella Riserva naturale orientata di Somadida realizzando per l’Ufficio territoriale per la biodiversità di Vittorio Veneto del CFS progetti didattico-ambientali promossi in scuole, enti, associazioni.

MARIO FABBRI

Macerata, 1932

Pelmo d’oro 2013 Premio speciale della Provincia

Mario Fabbri è stato il giudice istruttore nell’inchiesta penale relativa alla tragedia del Vajont. Con il suo scrupoloso lavoro riuscì a far luce su uno dei capitoli più oscuri ed intricati della storia italiana. All’ex magistrato Mario Fabbri va riconosciuto l’ardire della sentenza che, oltre all’aspetto giuridico in sé, contiene pregevoli elementi di carattere scientifico e culturale, intersecando per la prima volta termini come protezione civile, attenzione ambientale e  territorio da tutelare evidenziando una mirabile conoscenza del territorio bellunese, montano e dolomitico.

Dal 9 ottobre 1998, trentacinquesimo anniversario di una catastrofe che non potrà essere dimenticata, il dottor Mario Fabbri, “l’uomo che ruppe il muro di ghiaccio”, è cittadino onorario di Longarone.

Il 20 maggio 2011 a Macerata, dove è nato, gli è stato attribuito Il Glomere, prima edizione, “per la tenacia, l’impegno civile e il rigore professionale con cui ha svolto il suo lavoro di magistrato”, e soprattutto per aver condotto, praticamente in solitudine e misurandosi con uno dei più influenti potentati economici italiani, l’istruttoria del Vajont. C’era anche Roberto Padrin, sindaco di Longarone, in quella occasione, per dire che: «Longarone e Macerata condividono un cittadino straordinario; i longaronesi non smetteranno di ringraziarlo per quanto ha fatto, ed è importante che il suo impegno sia riconosciuto non solo a Longarone ma anche nella sua città».

Vediamolo, allora, Mario Fabbri, ripercorrendo il ritratto che su cronachemaceratesi.it ne ha fatto l’amico Giancarlo Liuti. Maturità classica al “Leopardi” nel 1951, matricola di Giurisprudenza con borsa di studio annuale per “studenti meritevoli e bisognosi”. Spiccata propensione per il giornalismo: collabora con Il Resto del Carlino, cronaca giudiziaria. Ma non può durare, nel 1953 vince il concorso nazionale per cancelliere: prima sede la pretura di Rovigo, poi quella teramana di Nereto. Tre anni dopo si laurea discutendo una problematica tesi sul Concordato suscitando polemiche nella commissione per aver messo in bibliografia il Vangelo secondo Matteo e il Capitale di Marx. Nel 1959 sposa Luisa Paolini (tre figli: Antonio, Antonella e Andrea) e vince il concorso in magistratura. Nel 1960 uditore a Macerata, poi pretore a Rovigo, infine giudice istruttore a Belluno: proprio nel 1963, pochi mesi più tardi dovrà confrontarsi con la catastrofe del Vajont.

Cacciatore, fungaiolo, hockeista su prato. Approccio cordiale, battuta pronta, conversatore su tutto, testarda fiducia nella legalità. È in pensione dal 2002, dopo essere stato giudice di Tribunale,  procuratore della Repubblica, presidente della Commissione tributaria regionale. Vive a Belluno, ma l’estate è dedicata a Sirolo, riviera del Conero.

Peraltro, detto anche del suo “privato”, è per l’istruttoria del processo Vajont che il dottor Mario Fabbri sarà ricordato in Italia. Il suo è stato un percorso ad ostacoli, l’attraversamento di un campo minato che si è concluso il 20 febbraio 1968 con il deposito della sentenza del procedimento penale per disastro colposo, frana, disastro colposo d’inondazione aggravati dalla previsione dell’evento, omicidio colposo plurimo aggravato: 458 pagine, 116 quintali di documenti, otto imputati. A L’Aquila, processo di primo grado, il 17 dicembre 1969 dopo 149 udienze, si conferma l’omicidio colposo plurimo, mentre scompare inopinatamente l’aggravante della prevedibilità. In appello, il 3 ottobre 1970, si riconosce che la prevedibilità doveva essere messa in conto, altroché. Infine, il 15 marzo1971, a 15 giorni dalla prescrizione, in Corte di Cassazione il processo si conclude con due condanne a pene irrisorie rispetto alle duemila vittime e ai fatti documentati.

L’istruttoria del Vajont resta negli annali di Giurisprudenza costituzionale per il fatto che il giudice istruttore, dissentendo dal parere dell’ufficio del Pubblico Ministero, dispose il rilascio in copia alla Commissione parlamentare d’inchiesta di tutti i documenti in sequestro giudiziale, innovando così la precedente giurisprudenza.

Ha scritto Fiorello Zangrando, cronista partecipe dell’intera vicenda giudiziaria: “é proprio qui che si comincia a capire che Vajont è nome proprio di torrente e di diga, e anche nome comune di disastro da diga, da frana, da acqua, da colpa, da colpa lunga due chilometri di croci”.

CLUB ALPINO ITALIANO

Torino, 23 ottobre 1963

 Pelmo d’oro 2013 Premio speciale

“…libera associazione nazionale che ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale…”. Fedele alle decisioni statuarie di 150 anni fa, ha contribuito in maniera sistematica all’amore sempre più consapevole per le Dolomiti Bellunesi.

Con azioni convergenti: già nell’800 nascita delle prime sezioni (Agordo 1868, Auronzo in origine denominata Cadorina 1874, Belluno 1891); nel primo ‘900 promozione di opere alpine e rifugi anche su impulso di sezioni cittadine; a fine ‘900 ruolo significativo per la nascita del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi; sostegno e riferimento per alpinisti bellunesi noti nel mondo degli 8000 come Lino Lacedelli, Giuliano De Marchi e Soro Dorotei. 

Dal barone piemontese Ferdinando Perrone di San Martino al dirigente d’azienda veneto Umberto Martini, da meno di 200 soci a quasi 320 mila, da Torino all’Italia e al mondo, dalla élite aristocratica alla borghesia umanistica alla partecipazione diffusa.

Aveva visto giusto il 12 agosto 1863 Quintino Sella, ministro delle Finanze di un Regno d’Italia ai primi passi e ancora orfano del Veneto, che si aggregherà soltanto nel 1866, quando sosteneva l’opportunità e l’utilità di un club di cultori della montagna per una migliore conoscenza e una più consapevole frequentazione dell’ambiente alpino, come già era avvenuto in Gran Bretagna, Austria, Svizzera.

Insieme ai fratelli Paolo e Giacinto della nobile famiglia piemontese Ballada di Saint-Robert e al barone calabrese Giovanni Barracco, con regolamentare scorta di guide, Sella era arrivato in vetta al Monviso, prima ascensione ufficiale italiana, e lì ci avevano ragionato. Basteranno poco più di un paio di mesi per passare dal progetto alla nascita del Club Alpino di Torino. E, presto, le prime succursali: 1865 Aosta, 1867 Varallo, 1868 Agordo (fresca di plebiscito e annessione al Regno) con Domodossola e Firenze, e poi avanti fino ad oggi. Fino alle 498 sezioni e 310 sottosezioni distribuite in tutte le regioni, ai 774 rifugi e bivacchi con oltre 23 mila posti letto.

Avanti, soprattutto, fino ai quasi dodicimila soci impegnati volontariamente nelle attività del Club: tecnici di soccorso alpino e speleologico, della neve e del distacco artificiale; istruttori di alpinismo, scialpinismo, arrampicata libera, speleologia, sci di fondo-escursionismo, snowboard-alpinismo; accompagnatori di escursionismo e di alpinismo giovanile; operatori per la tutela dell’ambiente montano e naturalistici del comitato scientifico; esperti nazionali valanghe e osservatori neve e valanghe. È una straordinaria rete di competenze a presidio della montagna e di chi la frequenta.

Più del 95 per cento degli oltre cinquemila interventi che ogni anno impegnano il Soccorso Alpino è rivolto a persone non associate al Cai. E non va dimenticato quanto possa costare agli stessi soccorritori l’altruismo umanitario che li anima: è straziante la più recente striscia di lutti che ha colpito con particolare crudeltà le giubbe rosse del Bellunese.

Scrive Umberto Martini in prefazione a Cai150 1863-2013 Il libro: “Se la storia ci riporta all’oggettività del Club Alpino, un altro aspetto non va dimenticato: quello della soggettività. Infatti dietro alla storia ufficiale, che emerge dagli atti, dalle carte, dagli interventi congressuali e pubblici di coloro che fondarono e di coloro che li seguirono nel reggere le sorti dell’Associazione, c’è la vita pulsante di passioni e di slanci, di illusioni e delusioni, di sentimenti di coloro che con dedizione e senza tornaconto personale salvo quello della consapevolezza di aver fatto bene, hanno prestato per generazioni la propria opera di volontariato che ha fatto sì che il Club Alpino Italiano crescesse e prosperasse in tempi difficili che hanno messo a dura prova in alcuni momenti l’esistenza stessa dell’umanità o di parte di essa”.

Non per niente “La montagna unisce” è il motto dei 150 anni del Club Alpino Italiano. Che dal Bellunese, dal Comelico, ha finora attinto un presidente generale, Roberto De Martin Topranin, e un socio onorario, Italo Zandonella Callegher.

IL PREMIO PELMO D’ORO

L’istituzione del Premio annuale itinerante denominato “Pelmo d’oro” è stata decisa dal Consiglio provinciale di Belluno contestualmente all’approvazione del bilancio di previsione 1998. Il 12 maggio 1998, la Giunta ha stabilito i criteri di valutazione e ha costituito la prima commissione giudicatrice: presidente l’assessore provinciale al Turismo Massimiliano Pachner delegato dal Presidente della Provincia Oscar De Bona, componenti l’alpinista Agostino Da Polenza, la guida alpina Gianni Pais Becher, l’accademico del CAI Italo Zandonella Callegher, l’allora presidente generale del CAI Roberto De Martin, la guida alpina Soro Dorotei.

Componenti della Giuria della XVI edizione del Premio “Pelmo d’oro”: Vittorio Capocelli, Commissario Straordinario della Provincia di Belluno; Roberto De Martin past Presidente del Club Alpino Italiano e del Club Arc Alpin e Presidente del Trentofilmfestival; Paolo Conz aspirante Guida Alpina, istruttore regionale e tecnico del Soccorso alpino, Giuseppe Casagrande, Guida Alpina ad honorem e promotore della cultura di montagna; Alessandro Masucci, Accademico del CAI e co-fondatore di Mountain Wilderness; Italo Zandonella Callegher, Accademico e Socio Onorario del CAI; Cesare Lasen membro del Comitato Scientifico e della Fondazione Dolomiti Unesco; Loris Santomaso già direttore-responsabile della rivista Le Dolomiti Bellunesi.

Finalità

La Provincia di Belluno istituisce il  Premio “PELMO D’ORO” finalizzato al riconoscimento dei particolari meriti acquisiti da persone fisiche, enti pubblici e privati nell’ambito dell’alpinismo e della solidarietà alpina, della tutela e valorizzazione dell’ambiente e delle risorse montane, della conoscenza e promozione della cultura, della  storia, e delle tradizioni delle genti di montagna. E’ aperto, quindi, a tutte le espressioni di approccio e confronto con la montagna, in particolare a tutte le forme e ai modi di divulgazione dei valori di un patrimonio unico al mondo quali sono le Dolomiti Bellunesi.

Tre, secondo regolamento, gli ambiti di giudizio della commissione giudicatrice:

Sezione alpinismo in attività – Il Premio viene conferito ad alpinisti o gruppi alpinistici, sia italiani che stranieri, che abbiano svolto significativa pratica nelle Dolomiti Bellunesi nel campo dell’alpinismo classico o nell’arrampicata sportiva o compiendo imprese di eccezionale rilievo.

Sezione alla carriera alpinistica – Il Premio viene conferito ad alpinisti, gruppi alpinistici o istituzioni, italiani o stranieri, che nel corso della loro carriera abbiano dato lustro alle Dolomiti bellunesi e alla provincia di Belluno, anche con imprese di carattere internazionale.

Sezione cultura alpina – Il premio viene conferito a persone, enti pubblici o privati che con le loro opere scientifiche, artistiche o letterarie abbiano contribuito in modo significativo alla conoscenza, valorizzazione e divulgazione delle Dolomiti bellunesi e del patrimonio naturalistico ed ambientale della provincia di Belluno.

Premio Speciale della Provincia 

il premio viene attribuito a persone fisiche, anche non più in vita, associazioni, enti pubblici e privati,  per eccezionali meriti acquisiti nell’ambito delle finalità istitutive del premio, mediante il conferimento annuale del  “PREMIO SPECIALE PELMO D’ORO”.

L’ALBO D’ORO

1998 (Cortina d’Ampezzo)

  • Alpinismo in attività: Gruppo Scoiattoli di Cortina d’Ampezzo
  • Carriera alpinistica: Roberto Sorgato
  • Cultura alpina: Camillo Berti e i suoi collaboratori
  • Segnalazioni: Armando Da Roit “Tama”, Ettore Costantini “Vecio”, Bepi De Francesch
  • Menzione d’onore: Papa Giovanni Paolo II

1999 (Belluno)

  • Alpinismo in attività: Maurizio Zanolla “Manolo”
  • Carriera alpinistica: Alziro Molin
  • Cultura alpina: Fondazione Giovanni Angelini
  • Premio speciale per la solidarietà alpina: Delegazione bellunese del Corpo nazionale del Soccorso alpino e speleologico

2000 (Zoppé di Cadore)

  • Alpinismo in attività: Marco Anghileri
  • Carriera alpinistica: Cesare “Ceci” Pollazzon e Mariano De Toni
  • Cultura alpina: Olaf Beer

2001 (Selva di Cadore – Rifugio Aquileia)

  • Alpinismo in attività: Gildo Zanderigo
  • Carriera alpinistica: Franco Miotto
  • Cultura alpina: Casa editrice Nuovi Sentieri

2002 (Alleghe – Caprile)

  • Alpinismo in attività: Mauro “Bubu” Bole
  • Carriera alpinistica: Georges e Sonia Livanos
  • Cultura alpina: rivista “Le Dolomiti Bellunesi”
  • Premio speciale: Reinhold Messner

2003 (San Vito di Cadore)

  • Alpinismo in attività: Luisa Iovane e Heinz Mariacher
  • Carriera alpinistica: Ignazio Piussi
  • Cultura alpina: Luca Visentini e Mario Crespan
  • Menzione speciale: Marcello Bonafede e Natalino Menegus

2004 (San Pietro di Cadore – Val Visdende)

  • Alpinismo in attività: Gruppo Ragni di Pieve di Cadore
  • Carriera alpinistica: Gabriele Franceschini
  • Cultura alpina: Vico Calabrò
  • Menzione speciale: Angelo Devich
  • Menzione speciale alla memoria: vescovo Vincenzo Savio

2005 (Zoldo Alto – Fusine)

  • Alpinismo in attività: Giuliano De Marchi
  • Carriera alpinistica: Pierre Mazeaud
  • Cultura alpina: Wolfgang Thomaseth
  • Menzione speciale: Alessandro Masucci e Pietro Sommavilla
  • Premio speciale della Giunta Provinciale: Mario Rigoni Stern

2006 (Feltre)

  • Alpinismo in attività: Ivo Ferrari
  • Carriera alpinistica: Gruppo Rocciatori CAI Feltre
  • Cultura alpina: Robert Striffler
  • Menzione speciale: Andy Holzer e Erik Weihenmayer
  • Premio speciale della Giunta Provinciale: Associazione Internazionale “Dino Buzzati” in memoria di Nella Giannetto

2007 (Livinallongo del Col di Lana)

  • Alpinismo in attività: Alexander e Thomas Huber
  • Carriera alpinistica: Alessandro Gogna
  • Cultura alpina: Bepi De Marzi
  • Premio speciale della Giunta Provinciale: Rolly Marchi
  • Menzione speciale: gestori di rifugi alpini ed escursionistici da 50 anni
  • Stella Alpina d’oro: Rifugi Alpini
  • Rifugio Lavaredo – Auronzo di Cadore – famiglia Corte Colò
  • Rifugio Capanna Tondi – Cortina d’Ampezzo – famiglia Verzi
  • Rifugio Cinque Torri – Cortina d’Ampezzo – famiglia Alberti
  • Rifugi Croda da Lago Gianni Palmieri e Nuvolau – Cortina d’Ampezzo – famiglia Siorpaes “ki de Sorabànces”
  • Rifugio Duca d’Aosta – Cortina d’Ampezzo – famiglia Lancedelli
  • Rifugio Pomedes – Cortina d’Ampezzo – famiglia Ghedina “Bibi”
  • Rifugio Giuseppe Volpi al Mulaz – Falcade – famiglia Adami
  • Rifugio Tita Barba – Pieve di Cadore – famiglia Ciotti
  • Rifugio Onorio Falier – Rocca Pietore – famiglia Del Bon
  • Campanula d’oro: Rifugi escursionistici
  • Remauro – Cibiana di Cadore – famiglia De Zordo
  • Angelo Dibona – Cortina d’Ampezzo – famiglia Recafina
  • Lago d’Ajàl – Cortina d’Ampezzo – famiglia Dibona
  • Italo Lunelli – Comelico Superiore – famiglia Martini Barzolai
  • Valparola – Livinallongo del Col di Lana – famiglia Trebo
  • Pranolz – Trichiana – famiglia Magagnin

2008 (Auronzo di Cadore)

  • Alpinismo in attività: Gigi Dal Pozzo
  • Carriera alpinistica: Armando Aste
  • Cultura alpina: Lothar Brandler
  • Pelmo d’Oro: Riccardo Cassin
  • Menzione speciale: Valerio Quinz
  • Premio speciale della Giunta Provinciale: Alpini del 7° Reggimento

2009 (Agordo)

  • Alpinismo in attività: Gianni Gianeselli
  • Carriera alpinistica: Richard Goedeke
  • Cultura alpina: Mauro Corona
  • Premio speciale della Giunta Provinciale: Sezione Agordina del Cai, Gruppo Gir, Stazione di Agordo del CNSAS
  • Menzione speciale: Campanula d’oro: famiglia Vascellari, gestori da 50 anni del rifugio escursionistico “Capanna degli Alpini” – Calalzo di Cadore
  • Menzione speciale: riconoscimento alle famiglie bellunesi per il trentennale impegno d’alpeggio
  1. Famiglia De Nardin – Agordo
  2. Famiglia Miola – Agordo
  3. Famiglia Bressan – Agordo
  4. Famiglia Follador – Falcade
  5. Famiglia Pescosta – Falcade
  6. Famiglia Giacometti – Feltre
  7. Famiglia Zatta – Feltre
  8. Famiglia Villabruna – Feltre
  9. Famiglia De Paoli – Feltre
  10. Famiglia Curto – Quero
  11. Famiglia Casanova Borca – San Pietro di Cadore
  12. Famiglia Pradetto Cignotto – San Pietro di Cadore
  13. Famiglia Corso – Seren del Grappa
  14. Famiglie Facchin e Guerriero – Sovramonte

2010 (Tambre)

  • Alpinismo in attività: Pietro Dal Pra
  • Carriera alpinistica: Giuseppe “Bepi” Caldart
  • Cultura alpina: Manrico Dell’Agnola
  • Premio speciale della Giunta Provinciale: Guide Alpine della Regione Veneto
  • Menzione speciale alla memoria: Benito Saviane
  • Premio speciale Giuliano De Marchi: Enzo De Menech “Bubu”

2011 (Comélico Superiore)

  • Alpinismo in attività: Marino Babudri e Ariella Sain
  • Carriera alpinistica: Mariano Frizzera e Sergio Martini
  • Cultura alpina: Cesare Lasen
  • Premio speciale della Giunta Provinciale: Associazione Bellunesi nel Mondo
  • Menzione speciale alla memoria: Matteo Fiori
  • Menzione speciale: Achille Carbogno
  • Menzione speciale: Flavio Faoro
  • Menzione speciale: Gruppo Ricerche Culturali di Comélico Superiore
  • Premio speciale Giuliano De Marchi: Giacomo Cesca

2012 (Pieve di Cadore)

  • Alpinismo in attività: Alessandro Baù
  • Carriera alpinistica: Silvia Metzeltin e Adriana Valdo
  • Cultura alpina: Telebellunodolomiti
  • Menzione speciale alla memoria: Alberto Bonafede e Aldo Giustina
  • Menzione speciale: Giorgio Ronchi

2013 (Longarone)

  • Alpinismo in attività: Venturino De Bona e Renato Panciera
  • Carriera alpinistica: Franco Solina
  • Cultura alpina: Walter Musizza e Giovanni De Donà
  • Premio speciale della Giunta Provinciale: Mario Fabbri
  • Menzione speciale: Francesco Turrin
  • Premio speciale Giuliano De Marchi: Equipe Ambulatorio Giuliano De Marchi
  • Pelmo d’Oro: Club Alpino Italiano

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