La Famiglia Ex emigranti dell’Agordino presenta il libro “Un’emigrazione speciale. Periti minerari dall’Agordino al mondo”. Appuntamento venerdì 12 maggio nella Sala “Don Tamis” di Agordo

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Appuntamento con la storia dei periti minerari. Ad organizzarlo la Famiglia Ex emigranti dell’Agordino, che presenterà venerdì 12 maggio, alle ore 20.30 nella Sala “Don Tamis” di Agordo, il libro “Un’emigrazione speciale. Periti minerari dall’Agordino al mondo” pubblicato dall’Apim – Associazione Periti Industriali Minerari ed edito da “Bellunesi nel mondo – edizioni”.

L’Istituto Tecnico Industriale “Follador De Rossi” di Agordo, più noto come “Istituto Minerario”, fondato nel 1867, ha rappresentato e rappresenta tuttora una delle scuole di settore più importanti a livello nazionale. Un’eccellenza veneta e bellunese che negli anni ha formato oltre duemila tecnici apprezzati in Italia e all’estero. Nel corso degli oltre centocinquant’anni di storia dell’Istituto, infatti, i periti diplomatisi ad Agordo si sono impegnati nel lavoro alle più diverse latitudini e in quasi tutti i settori della tecnica: dalle cave alle miniere, dall’estrazione petrolifera alle grandi opere civili, dagli esplosivi alle spedizioni scientifiche e alla gemmologia, raggiungendo le più alte vette nei rispettivi campi professionali.
Questa pubblicazione vuole recuperare e valorizzare la storia dell’Istituto e le storie personali dei “suoi” periti minerari, storie da portare all’attenzione della collettività.
Ingresso libero.

39. Appuntamento al monumento dell’emigrante di Broz

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La Famiglia ex emigranti dell’Alpago e la Parrocchia di Tambre – con il patrocinio del Comune di Tambre – organizzano una Santa Messa e la benedizione al monumento dell’emigrante di Broz. Appuntamento per sabato 23 ottobre 2021. Questo il programma: ore 17.00 Santa Messa in onore degli emigranti e dei caduti sul lavoro nella chiesetta di Sant’Antonio Abate a Broz (Tambre); ore 17.40 benedizione e omaggio floreale agli emigranti e caduti sul lavoro al monumento a loro dedicato. Quest’anno si celebrano i sedici anni dell’inaugurazione di questo monumento, avvenuta il 23 ottobre 2005.

Dossier Province preparato dall’Upi e inviato oggi dal presidente De Pascale al Governo Draghi. Padrin: «L’obiettivo è quello di ridare forza operativa a enti che in questi ultimi anni hanno dovuto fare i conti con risorse economiche sempre più ridotte e carenza di personale»

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È stato inviato oggi, mercoledì 17 marzo 2021, da parte del presidente dell’UPI De Pascal il dossier Province. Destinatario il Governo Draghi. Di seguito, una dichiarazione del presidente Padrin a riguardo.

Roberto Padrin, presidente della Provincia di Belluno

«Non posso che accogliere con entusiasmo e partecipazione l’iniziativa dell’Upi. L’obiettivo è quello di ridare forza operativa a enti che in questi ultimi anni hanno dovuto fare i conti con risorse economiche sempre più ridotte e carenza di personale. La riforma Delrio del 2014 ha dimostrato alcuni limiti su cui è necessario lavorare, perché non ne risentano la qualità e quantità di servizi erogati ai cittadini e ai territori. A Belluno abbiamo potuto portare avanti progettualità e iniziative importanti, in questi anni, grazie alla compartecipazione dei Fondi Comuni confinanti e alla piena disponibilità dei canoni idrici. Ma è chiaro che in questo momento, con la necessità di sostenere la ripresa economica, occupazionale e sociale dopo l’emergenza Covid, servono strumenti diversi. Servono risorse strutturali, anche in termini di personale. Serve semplificazione. Se le Province non torneranno – almeno nell’immediato – quegli enti territoriali di primo grado che erano prima del 2014, devono però avere la possibilità di gestire in maniera ancora più efficace le funzioni rimaste, a partire da viabilità ed edilizia scolastica. Mi auguro che il governo Draghi, superata la fase emergenziale del Covid, possa valutare in maniera diversa l’operato delle Province. Il clima di ostilità nei confronti della Pubblica amministrazione, che per qualche anno ha soffiato contro le Province spogliandole di dignità operativa, additandole come fulcro degli sperperi, è passato. Ora è necessario guardare avanti. Le Province servono nella loro funzione di raccordo e di “casa dei servizi” per i Comuni, soprattutto in un territorio montano come il nostro. Come ha scritto il presidente Upi De Pascale nel dossier inviato al premier Draghi, “Durante la crisi sanitaria, le Province sono state chiamate a intervenire in tutti i tavoli – nazionali e locali – per contribuire alla gestione dell’emergenza sulle questioni di maggiore criticità e impatto sulla vita dei cittadini: dalla fruizione in sicurezza della didattica per le scuole superiori sia in presenza che a distanza alla riorganizzazione dei trasporti locali, dalla definizione dei protocolli sanitari per imprese e lavoratori al supporto al mantenimento dell’ordine pubblico. Occorre ora proseguire nella costruzione di una Provincia nuova: istituzione della semplificazione e degli investimenti, in grado di produrre e definire azioni e interventi da tradurre in progetti concreti a favore delle città e dei territori”».

Covid-19. Gli effetti sulle aziende venete

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Covid-19 e aziende

Le prime evidenze statistiche su come le imprese stannovivendo l’emergenza sanitaria da Covid-19 sono state raccolteattraverso una rilevazione che Istat ha effettuato nel mese di maggio, dal titolo “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”.

La rilevazione ha interessato un campione di imprese italiane rappresentative di circa un milione di unità dell’industria, del commercio e dei servizi, e ha coinvolto un campione di imprese venete rappresentative di quasi 103 mila unità venete.

Il 29,1% delle imprese venete è riuscito a rimanere attivo per tutto il lockdown. Il 32% delle imprese venete ha bloccato l’attività, ma ha potuto riprendere prima del 4 maggio, quota significativamente superiore al valor medio nazionale (22,5%), anche per un forte ricorsoa richieste in deroga. Il rimanente 38,9% ha visto una sospensione dell’attività almeno fino al 4 maggio, ma in alcuni casi anche oltre. Le imprese venete cessate o che non prevedono di riprendere l’attività entro la fine del 2020 sono l’1,4%. Sono soprattutto le imprese delle costruzioni e dei servizi ad aver sospeso l’attività: nell’ambito dei servizi, quote particolarmente elevate di imprese chiuse durante il lockdown si riscontrano tra le agenzie di viaggio e tour operator, nell’assistenza sociale non residenziale, nelle attività creative ed artistiche, sportive, culturali, nelle altre attività di servizi alla persona, nei servizi di alloggio e ristorazione e nel settore dell’istruzione.

Sono 4 su 10 le imprese venete che tra marzo e aprile 2020 hanno visto ridursi il fatturato di oltreil 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un ulteriore 12,6% di imprese venetenon ha fatturato nel bimestre osservato.

Gelato artigianale. I numeri reali presentati dalla CGIA di Mestre

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Un momento della presentazione dei dati sul gelato artigianale presso la sede della CGIA di Mestre

L’esigenza di poter disporre di dati ufficiali e attendibili sul comparto del gelato artigianale è da tempo evidenziata dalla Fiera di Longarone. Già nel 2011, nell’ambito della MIG-Mostra Internazionale del Gelato Artigianale, era stata indetta una tavola rotonda per approfondire la tematica che rilevò come la principale difficoltà per inquadrare il settore fosse la circostanza che le gelaterie non hanno una classificazione specifica ma vengono identificate con un codice ATECO che condividono con le pasticcerie. Nell’affrontare la ricerca gli esperti della CGIA di Mestre, alla quale Longarone Fiere ha commissionato lo studio, hanno fin da subito rilevato questo scoglio ma grazie alle loro riconosciute competenze, sono riusciti a raggiungere il risultato analizzando ed incrociando diversi ulteriori dati disponibili come gli Studi di settore ed altre banche dati di Inps e Istat. Il quadro che emerge è veramente interessante ed esaustivo in quanto offre una panoramica del comparto del gelato artigianale con vendita diretta al pubblico che comprende, oltre alle classiche gelaterie, altri esercizi con diverso “core business”, come i bar gelateria e le pasticcerie, dove il gelato concorre comunque alla determinazione dei ricavi.

Sono state, inoltre, tenute in considerazione le attività di gelateria ambulante e le aziende di produzione di gelato senza vendita diretta, che pur residuali come numero, hanno una tradizione e un peso economico ed occupazionale ben preciso. Per rendere maggiormente comprensibile il tutto e cogliere le dinamiche dell’intero comparto (gelaterie e pasticcerie), CGIA propone uno studio suddiviso in due parti che inizia dalla presentazione dei dati ufficiali rilevati dal Registro Imprese per passare poi alla stima dello specifico settore del gelato artigianale inteso come bene che viene prodotto e venduto direttamente al pubblico.

Riportiamo, di seguito, una sintesi dei risultati:

Utilizzando i soli dati di fonte camerale, senza preoccuparsi della presenza nel medesimo codice ATECO delle pasticcerie è possibile cogliere delle tendenze di fondo:

1. Nell’ultimo decennio si è assistito a una leggera crescita del numero di localizzazioni, mentre le sedi di impresa negli ultimi anni fanno registrare una lieve flessione, particolarmente accentuata per le imprese artigiane

2. L’incidenza delle imprese femminili e giovanili tende a diminuire anche se la loro presenza è superiore a quella media che si rileva nella totalità delle attività economiche

3.  Le imprese condotte da stranieri tendono ad aumentare, ma la loro incidenza è inferiore a quella che si registra rispetto al totale dei settori economici

Utilizzando i dati degli Studi di Settore è possibile stimare le dimensioni del Comparto del Gelato Artigianale con vendita diretta al pubblico in 15.589 sedi di imprese attive delle quali:

  •  circa 7.000 imprese in cui la produzione e vendita di gelati di propria produzione rappresenta il «core business»
  • oltre 3.000 «Bar gelateria» in cui il gelato costituisce una rilevante componente del volume d’affari (metà)
  • circa 5.500 Pasticcerie che integrano la loro attività con la produzione e vendita di gelato di propria produzione
  • Gli «addetti» interessati dalle attività in cui è presente la produzione e vendita diretta di gelato artigianale sono circa 62 mila; si considerano non solo coloro i quali operano nelle «gelaterie pure», ma anche chi opera nei bar gelateria o nelle pasticcierie con vendita di gelato di propria produzione
  • Se si vuole esprimere la forza lavoro sostenuta dal settore in termini di ULA (unità di lavoro standard), si può stimare che i ricavi dalla vendita di gelato artigianale siano in grado di sostenere circa 30 mila unità di lavoro
  • In Italia secondo l’ISTAT ogni famiglia spende annualmente oltre 70 euro in gelato
  • la spesa annua di gelato delle famiglie italiane è pari a 1.862 milioni di euro; se a questa cifra si aggiunge il consumo dei turisti si arriva a sfiorare i 2 miliardi di euro (1.964 milioni di euro).
  • Il consumo di gelato artigianale rappresenta il 52% del fabbisogno nazionale
  • La produzione di gelati in Italia è pari a 2.085 milioni di euro di cui 1.063 deriva dal settore industriale e 1.022 dal settore artigianale
  • La produzione e vendita di gelato artigianale è un settore importante della nostra economia dando lavoro a circa 30.000 ULA con un fatturato che supera 1 miliardo di euro l’anno.

È significativo che questo studio, primo del suo genere in Italia, sia stato realizzato in Veneto, terra di gelatieri, un territorio dal quale a partire dalla metà del 1800 sono partiti i pionieri cadorini e zoldani ai quali va ascritto il merito – non di aver inventato il gelato, come qualcuno crede – ma di aver intrapreso, sviluppato, diffuso e fatto conoscere questa attività nelle principali città del nord e centro Italia, nei Paesi del centro Europa ed anche oltre Oceano.

Covid-19. Secondo report Iss: letalità al 5,8%, più alta negli uomini

coronavirusÈ appena stato pubblicato nel sito del Ministero della Sanità il secondo report (con cadenza bisettimanale) dell’Istituto superiore di sanità sulle caratteristiche dei pazienti affetti da Covid-19. Il focus è sulla letalità, intesa come numero dei morti sul totale dei malati. Al momento in Italia è del 5,8%. L’età media dei pazienti deceduti e positivi a Covid-19 è 80 anni, più alta di circa 15 anni rispetto ai positivi e le donne sono il 28,4%.

Sono due i pazienti deceduti Covid-19 positivi di età inferiore ai 40 anni. Si tratta di una persona di età di 39 anni, di sesso maschile, con pre-esistenti patologie psichiatriche, diabete e obesità, deceduta presso il proprio domicilio e di una persona di 39 anni, di sesso femminile, con pre-esistente patologie neoplastica deceduta in ospedale. Le donne decedute dopo aver contratto l’infezione hanno un’età più alta rispetto agli uomini (età mediane: donne 84.2 – uomini 80.3) e la letalità aumenta in maniera marcata dopo i 70 anni. “La letalità stratificata per fasce di età non è più alta di quella di altri Paesi – sottolinea Graziano Onder, direttore del dipartimento Malattie cardiovascolari, dismetaboliche e dell’invecchiamento dell’Iss -. Scontiamo un’età media molto alta e una percentuale significativa della popolazione che ha più patologie, un fattore che aumenta il rischio di morte. Non a caso il numero medio di patologie osservate nei deceduti è di 2.7 Alcuni dettagli in più sulla letalità sono presenti nel bollettino epidemiologico.

Negli uomini la letalità risulta più alta, il 7,2%, mentre nelle donne è del 4,1%. La differenza nel numero di casi segnalato per sesso aumenta progressivamente in favore di soggetti di sesso maschile fino alla fascia di età ≥70-79. Nella fascia di età ≥ 90 anni il numero di casi di sesso femminile supera quello dei casi di sesso maschile probabilmente per la struttura demografica della popolazione.

Scarica QUI il bollettino riferito al secondo report Iss

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