361. Storie di emigranti bellunesi. Italo Slongo, lavoratore in tutto il mondo

da | 20 Ago 2018 | 0 commenti

Tempo di lettura: 3 minuti

Sono sempre stato a lavorare in giro per il mondo, in tutto quasi 48 anni, nei quali ho avuto la  fortuna di vedere posti bellissimi. Conclusa la scuola media, mi sono diplomato ad un corso edile, ed è stata una cosa molto utile per la mia carriera futura. Dopodiché ho cominciato a cercare lavoro. Fin dall’inizio l’idea era quella di andare all’estero. Ho iniziato la mia vita da emigrante quando nel 1964 sono andato a lavorare in Svizzera per la costruzione del Belchen Tunnel. Sono partito, come tutti, per andare a prendere un po’ di soldi in più. Ero il primo della mia famiglia che intraprendeva questa strada. Dopo la Svizzera, un mio compaesano mi ha chiesto se volevo andare in Africa e io gli ho risposto: “Subito, anche senza valigia”. Così, nel 1965 sono andato in Nigeria con l’Impregilo, per la costruzione della diga di Kainji, sul Niger (nella foto). Lì ho vissuto anche parte della guerra civile che era scoppiata in quel periodo. È stata una cosa tremenda. Si vedevano morti, feriti, ambulanze che raccoglievano gente massacrata. A noi non è successo mai nulla, non ci sentivamo in pericolo. Abbiamo aiutato i medici, gli infermieri, cercando di dare una mano. Ricordo perfettamente il primo impatto con l’Africa. Quando sono sceso dall’aereo, aveva appena smesso di piovere. L’odore che c’era nell’aria era una cosa che non avevo mai sentito prima, e lo ricordo ancora oggi. Con la gente del luogo si lavorava bene, pian piano hanno imparato il lavoro e non ho mai avuto nessun tipo di problema. Sono rimasto fino al ‘66, poi l’Impregilo mi ha mandato, con altri colleghi, alla Kaiser Engineering and Constructors, una compagnia americana, per lavorare alla diga di Guri, in Venezuela. Le condizioni di lavoro e di vita erano migliori, e anche in Venezuela mi sono sempre trovato bene. Nella mia lunga vita di lavoratore all’estero sono stato anche per un lungo periodo in Pakistan, dal ‘70 al ‘78, e poi in Ghana, Iraq, Turchia, Repubblica Dominicana, Cina, Lesotho, Etiopia e Myanmar, dove ho fatto l’ultimo lavoro, tra il 2010 e il 2013. Dopo tanti anni di questa vita, rientrare stabilmente in Italia è stata dura. Avrei ancora la voglia di partire, andare all’estero e lavorare. Se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto, non cambierei nulla. Tra i tanti posti meravigliosi che ho visto, alcuni in particolare mi sono rimasti nella memoria. La Nigeria, ad esempio. Appena arrivato ho preso un volo interno con un piccolo aereo che volava a 200-300 metri di altezza e si vedevano i branchi di animali che correvano. Era eccezionale. Un altro posto bellissimo è stato la Turchia. Istanbul era incredibile. Ci sono rimasto tre anni e non ho visto nemmeno la metà delle cose che c’erano da vedere. Lo stesso vale per la Cina, dove sarei rimasto volentieri anche a vivere. Tra l’altro, con la Cina ho un legame particolare, perché ho una figlia, che ora ha 20 anni, nata lì, a Panzhihua.

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